Pur sapendo che l’attenzione generale è rivolta ad altro, vogliamo insistere a parlare di quel piano da cui in fondo gli eventi geopolitici per lo più dipendono: ovvero quello culturale. Intendendo con cultura non solo la prerogativa e il privilegio di pochi specialisti, mentre gli altri hanno altro a cui pensare; bensì ciò a cui la vita di tutti si ispira: le visioni, i valori e le motivazioni profonde che ci fanno agire. È in quella sfera che un cambiamento epocale sta avvenendo, e sarà decisivo per le sorti mondiali.
Scriveva Raimon Panikkar:
Nessuna cultura, nessuna religione può da sola risolvere il problema umano. (…) Da qui la necessità urgente di una mutua fecondazione fra le tradizioni umane, fecondazione che da vari decenni vado difendendo.[1]
Si tratta di parole che ben possono descrivere la situazione odierna.
Anche sul piano dei rapporti di forza, l’Occidente non è più in grado di imporre sul pianeta un dominio incontrastato. Deve consentire che altri mondi - più popolosi, talora più antichi e forse più vitali – facciano la loro parte. L’alternativa è la china pericolosa della guerra.
A trent’anni dall’incontro di Assisi, pericoli ancora maggiori di allora incombono sull’umanità. Ma il seme gettato sta germogliando, e le religioni sono il più efficace argine alle forze del male.
Per questo si tratta di guardare - nelle scuole, nelle università e nel sociale – a un più ampio orizzonte culturale. Occorre una cultura che, senza dissolvere le identità, riconosca il pluralismo delle tradizioni umane. E, in ultimo, il valore fondante della dimensione religiosa.
Nessuno può farcela da solo. Non un individuo, non un popolo, non una cultura, non una religione. Nessuno è autosufficiente - innanzitutto rispetto alla trascendenza.
Questo è stato il senso, a Torino, di Philosophia pacis. Forniamo ampia documentazione delle riflessioni svolte.
[1] Raimon Panikkar, Il silenzio del Buddha. Un a-teismo religioso, Mondadori, Milano 2006, p. 31