Il brano che riportiamo si riferisce alla notte tra il 4 e il 5 settembre 1943 in cui Stalin ricevette al Cremlino tre metropoliti sopravvissuti all’offensiva antireligiosa del regime sovietico. Quest’ultimo, dovendo mobilitare tutte le energie della popolazione contro il nazismo, aveva bisogno dell’appoggio della Chiesa.
Gli avvenimenti si svolsero con la rapidità delle sequenze cinematografiche. […] Alle nove di sera nel vicolo Čistij giunse una automobile governativa. Vi fecero entrare i tre metropoliti, Sergij, Aleksej e Nicolaj.
Nessuno dei metropoliti aveva un’idea precisa di dove li si stesse portando. Potevano solo immaginarlo.
Dieci minuti dopo l’automobile entrò al Cremlino, e altri dieci minuti dopo essi entrarono in un ampio studio, tappezzato in legno, dove dietro un tavolo sedevano due uomini, il cui viso era ben noto dai ritratti: Stalin e Molotov.
Si strinsero la mano, si accomodarono. Cominciò a parlare Molotov, comunicando che il governo dell’URSS e personalmente il compagno Stalin volevano sapere quali fossero le necessità della Chiesa.
Due dei metropoliti, Aleksej e Nicolaj, tacevano sbigottiti. Inaspettatamente parlò Sergij. Prima di andare al Cremlino si era munito di un apparecchio acustico, che gli avevano mandato dall’estero e di cui abitualmente non si serviva. Il metropolita parlò calmo, con un balbettìo appena avvertibile, con il tono di una persona abituata a parlare di argomenti importanti insieme a persone importanti. (Al tempo in cui Stalin era seminarista, il metropolita Sergij, già vescovo, era rettore dell’Accademia teologica di Pietroburgo)
Sergij disse che era necessario riaprire molte chiese, dato che quelle allora aperte erano in numero insufficiente per le esigenze religiose del popolo. Egli parlò anche della necessità di convocare un concilio e di eleggere il patriarca. Infine disse che bisognava consentire l’apertura di altri istituti per la formazione del clero, dal momento che nella Chiesa mancavano i quadri sacerdotali.
Qui Stalin interruppe il proprio silenzio. “E perché vi mancano i quadri?” domandò, levandosi di bocca la pipa e puntando lo sguardo sui suoi interlocutori.
Aleksej e Nicolaj si turbarono sotto lo sguardo fisso di quegli occhi verdi: tutti sapevano bene che i quadri erano stati sterminati nei lager. Ma il metropolita Sergij non si turbò. Sostenendo lo sguardo degli occhi verdi, il vecchio rispose: “I nostri quadri sono scarsi per varie ragioni. Una è questa: noi prepariamo un sacerdote, e quello diventa Maresciallo dell’Unione Sovietica”
Un sorrisetto compiaciuto passò sulle labbra del dittatore. Disse: “Già, già, per l’appunto. Ero seminarista. Sentii anche parlare di voi”. Prese allora a ricordare gli anni del seminario, ricordò un sorvegliante che era bravissimo nel trovare le sigarette che i seminaristi tenevano nascoste.
Il metropolita Sergij conosceva quel sorvegliante, conosceva anche molti insegnanti del seminario di Tiflis.
La conversazione del dittatore con i metropoliti assunse un carattere disteso. Poi, dopo aver preso il tè, cominciò il discorso sulle cose concrete.
La conversazione si protrasse fino alle tre di notte. Oltre a Stalin, Molotov e i metropoliti, vi parteciparono anche alcuni esperti. Quella conversazione può essere detta storica, nel pieno significato della parola. Fu in quella notte che venne stabilito lo status della Chiesa russa e le condizioni alle quali essa esiste fino ad oggi [n.r.d:il testo è stato pubblicato nel 1979].
Si sa che questo status oggi provoca molte giuste critiche, dato che implica un assoluto asservimento della Chiesa da parte di uno stato antireligioso. Ma in quel momento, dopo i decenni del Terrore abbattutosi anche sulla Chiesa, rappresentò senz’altro un passo avanti, dato che significava la possibilità di un’esistenza legale per la Chiesa ortodossa.
Alla fine dell’incontro, il vecchio metropolita malato era stanchissimo. Qui avvenne l’episodio di cui parla Solženicyn. Stalin, preso sottobraccio il metropolita, con delicatezza, come un vero suddiacono, lo accompagnò lungo la scala e congedandosi da lui disse: “Eccellenza! Questo è tutto quello che io oggi posso fare per voi”. Con queste parole salutò i capi della Chiesa.
Qualche giorno dopo, nella casa del vicolo Čistij si riunì un concilio di vescovi (non era difficile convocarli: nella Chiesa russa a quel tempo erano rimasti soltanto diciassette vescovi), e il giorno di domenica 12 settembre, festa di Aleksandr Nevskij, nella cattedrale dell’Epifania si ebbe la intronizzazione del neo-eletto patriarca nella persona del metropolita Sergij.
La Chiesa russa aveva di nuovo un patriarca, dopo un intervallo di diciotto anni.
Il brano è tratto da Anatolij Levitin-Krasnov, Il calore delle tue mani. Avventure di un cristiano russo (1941-1956). Edizione italiana: Leoni 1986.
L’autore, (1915-1991) fu internato in un lager dal 1949 al 1956 per una denuncia anonima; con lo pseudonimo di Krasnov fu autore di numerosi saggi del samizdat. In prigione dal 1969 al 1970, nel 1971 fu processato come membro del gruppo di iniziativa per la difesa dei diritti dell'uomo, e condannato a 3 anni. Nel 1974 emigrò in Occidente, dove morì a Lucerna.