Come suo stile, Papa Francesco dice con chiarezza fin da principio quali sono le sue intenzioni e lo spirito che le anima. Con questa enciclica egli intende proporre ‘una forma di vita dal sapore di Vangelo’, che rinnovi profondamente la società civile e la convivenza tra le religioni. Il tutto all’insegna di ‘queste poche e semplici parole’: ‘fratelli tutti’, appunto. Un saluto e una benedizione di San Francesco per esprimere ‘l’essenziale di una fraternità aperta ’(1). Ma, avverte il Papa, ‘un nuovo sogno di fraternità e di amicizia sociale che non si limiti alle parole’ (6). E ricorda che ‘le questioni legate alla fraternità e all’amicizia sociale sono sempre state tra le mie preoccupazioni’ (5).
Sono proprio queste ‘preoccupazioni’ del Papa oggi a essere oggetto di ascolto sempre atteso da molti qui e nel mondo, ma anche di obiezioni e persino di polemiche e recriminazioni nei suoi confronti. Questa enciclica ne sta sollevando e ne solleverà certamente.
A cominciare dall’introduzione quando il Papa richiama il famoso episodio di San Francesco che andò, lui indifeso e disarmato, dal sultano Malik al-Kamil. In tempo di crociate ‘si liberò da ogni desiderio di dominio sugli altri, si fece uno degli ultimi e cercò di vivere in armonia con tutti’. Conclude il Papa: ‘A lui si deve la motivazione di queste pagine’(4).
Alcuni commenti hanno subito contestato all’enciclica di omettere che San Francesco andò dal sultano per annunciargli il Vangelo e per convertirlo. Si sostiene con ciò che il Papa sarebbe reticente nei confronti dell’Islam e in generale nel suo dialogo con tutti. Un dialogo, il suo, riduzionista nella sua fede cristiana e nella sua missione. L’obiezione ha fondamento dal punto di vista storico. Però si deve riconoscere che nel nostro contesto di estremismi armati in nome di Dio, la scelta del confronto non violento di San Francesco mantiene tutta la sua forza di ispirazione ideale e concreta. Nello specifico poi dell’enciclica il Papa è tutt’altro che reticente nel proporre l’identità del cristianesimo. Anzi, lungo l’ampia sequenza delle encicliche sociali non si trovano così impegnativi e coerenti riferimenti al Vangelo paragonabili a quello che in ‘Fratelli tutti’ si riscontra.
Nel secondo capitolo dell’enciclica, un testo evangelico fondamentale, la parabola del buon samaritano, viene proposta e ampiamente commentata quale icona illuminante del cristianesimo nella sua identità e missione a fronte della società globale e delle altre tradizioni religiose (67), al di là dell’oblio o persino dei tradimenti storici. Fatto raro e significativo, la parabola è riportata e interpretata per intero, per chiarire chi deve essere l’uomo verso gli altri a partire da chi è Dio da sempre per l’uomo, cioè il buon samaritano stesso.
Dunque, innanzitutto il Vangelo che ti interpella: ‘Con chi ti identifichi? Questa domanda è dura, diretta e decisiva. A quale di loro assomigli?’ (64). Questi interrogativi e i tentativi di rispondervi dicono quale sia il senso finale dell’enciclica e, in particolare, come il Papa si lascia coinvolgere dalle ferite umane e non vuole andare oltre. Una condizione che lo ‘provoca a mettere tutto da parte davanti a quel ferito’ (63), compreso il tempio verso cui nella parabola proseguono indifferenti il sacerdote e il levita.
La precedente enciclica, la ‘Laudato sì’, iniziava con una rassegna impietosa delle lesioni inferte al pianeta terra; si evocava in toni quasi apocalittici il rischio reale di una estinzione della vita. Lo scopo era di destare responsabilità altrettanto forte per risanarne gli abusi. Analogamente nel primo capitolo di ‘Fratelli tutti’ il Papa svolge una altrettanto impietosa panoramica di umanità ferite oggi (Le ombre di un mondo chiuso, 9-56), per destare uno slancio di impegno, per una nuova forma di positiva globalizzazione, quella della fratellanza e dell’amicizia sociale. Due parole programmatiche le quali esigono un di più, quasi un’eccedenza di solidarietà. Parte dell’umanità, vittima di quelle ombre, giace depredata dai briganti senza poter pretendere alcunché.
Qui il Papa ritorna su uno dei punti qualificanti del suo magistero. Si parla di ‘teologia dello scarto’: richiamo alla ‘scelta preferenziale dei poveri’, tratto distintivo di tanto percorso del cristianesimo del post-concilio. Tradotta in altri termini, tale scelta suggerisce che la prospettiva preferenziale da cui partire per comprendere e realizzare la giustizia è quella di porsi nell’ottica di chi non ce l’ha. Nella fede cristiana, è Gesù stesso a scegliere quest’ottica.
Seguono capitoli che il Papa chiama ‘percorsi di speranza’. Egli vorrebbe che diventassero discorso corrente nella formazione pastorale (86).
Si tratta di moltissimi argomenti su vari aspetti della società mondiale e delle religioni al suo interno. Papa Francesco – è il suo stile anche nelle altre encicliche – non li svolge in modo sistematico ma spesso li riprende per approfondirli. Sono aspetti tra i più dibattuti in quanto evocano problematiche cariche di tensioni dentro e fuori del cristianesimo. Il Papa ne è ben consapevole quando afferma: ‘ … si tratta di un’altra logica. Se non ci si sforza di entrare in questa logica, le mie parole suoneranno come fantastiche’ (127). Come dire: ciò che propongo viene dal Vangelo. Giudicatemi a partire dal Vangelo e non da altro.
Nel terzo capitolo egli richiama le tre grandi parole d’ordine della rivoluzione francese, libertà uguaglianza fraternità, e mette in guardia sugli ‘universalismi astratti’ che trascurano, non amano o perdono di vista i volti concreti dei popoli (99 ss.). E pure la libertà di associarsi può smarrire il prossimo e interessarsi solo dei soci (101). Più in generale, il Papa a fronte di quei principi constata che ‘troppo a lungo siamo stati nel degrado morale, prendendoci gioco dell’etica, della bontà, della fede, dell’onestà, ed è arrivato il momento di riconoscere che questa allegra superficialità ci è servita a poco’(113).
Tema fondamentale e ricorrente è quello dei migranti, visto alla luce di un principio basilare della dottrina sociale della chiesa: ‘Il mondo esiste per tutti’ (121). Dunque: accogliere proteggere promuovere integrare sono gli imperativi di una civiltà della fratellanza (129). Il Papa, in particolare nel c. IV, insiste sia sul diritto alla tutela della identità originaria del migrante, contro omogeneizzazioni forzate e astratti universalismi, sia sul pericolo di chiudersi in modo narcisistico nelle proprie culture originarie: senza l’altro non conosciamo neanche noi stessi (146). Niente indigenismi.
‘La migliore politica’ è un capitolo che affronta due argomenti indubbiamente tra i più dibattuti e forse anche controversi dell’enciclica. Si parla di populismi e liberalismi. Verso entrambi si esprime una aperta condanna.
In merito ai populismi il Papa sottolinea che sono un rapporto degenerato con il popolo. Invece, se compreso e interpretato nelle sue dimensioni più profonde, proprio il popolo costituisce un riferimento primario per la cultura, per la fede e per la convivenza civile.
In questo passaggio dell’enciclica affiora un tratto molto specifico della visione sociale di Papa Francesco. In Argentina difese tenacemente la religiosità popolare contro sia le demagogie di destra sia le ideologizzazioni politiche della realtà popolare in alcuni teologi della liberazione: ‘Essere parte del popolo è far parte di un’identità comune fatta di legami sociali e culturali. E questa non è una cosa automatica, anzi: è un processo lento, difficile… verso un progetto comune’ (158). Per la prima volta appare in una enciclica sociale la considerazione così impegnativa del ‘popolo’. Un rimando legittimo è alla nozione di ‘popolo di Dio’ così importante nel Concilio Vaticano II. Ma qui ha altra inflessione e farà discutere.
Il giudizio sul liberalismo è perentorio: ‘Il mercato da solo non risolve tutto, benché a volte vogliano farci credere questo dogma di fede neoliberale. Si tratta di un pensiero povero, ripetitivo, che propone sempre le stesse ricette di fronte a qualunque sfida si presenti’ (168). L’argomento è ripreso in varie forme, ma non cambia il giudizio. Diversi neoliberisti hanno già reagito duramente a questa lettura. Del resto ben prima di questa enciclica. Alcuni rappresentano una componente fissa dell’opposizione a Papa Francesco.
Il giudizio critico su queste due correnti della politica si accompagna nell’enciclica ad una forte insistenza sull’importanza della politica per realizzare fraternità e amicizia sociale, rispettando però le priorità sopra ricordate (176, 180).
L’amicizia sociale (c. VI) si regge sulla convinzione che la dignità umana si manifesta nella ricerca della verità, nel volere il bene, oltre le convenienze, i calcoli e le idee dominanti. Per i credenti è dono di Dio. La dignità si esercita poi nell’accettazione dell’altro, del diverso. Con un’espressione molto cara a Papa Francesco, l’uomo è in grado di accettare che il tutto sia superiore alla parte, quando si include e nessuno si sente inutile, quando ciascuno ha diritto di essere se stesso.
E questa è pace: ‘La pace sociale è laboriosa, artigianale (217).
L’artigianato della pace viene approfondito nel c. VII dove si affronta il perdono e la vendetta. Papa Francesco, come già nei capitoli iniziali, si impegna a interpretare il passaggio in cui Gesù afferma di essere venuto a portare non la pace, ma la guerra. Qui non di conflitti si tratta né di violenza in nome della fede, ma di impegno e di coraggio nelle scelte (338). E neppure è vera pace il ‘voltar pagina’ o scordare il male (la Shoah non va dimenticata!) o negare lo specifico dei mali subiti o il non pretendere giustizia. Bensì invece è pace non ripetere lo stesso male e vincere il male con il bene (246 ss.).
Lo stesso tema, nel suo contrario, ritorna nel penultimo capitolo, dove si ribadisce il rifiuto della guerra e ogni sua giustificazione, essendo ormai evidente che non è soluzione. Anzi, le ragioni della pace sono sempre più forti. Discorso analogo per la pena di morte.
Ma la fraternità dovrebbe innanzitutto realizzarsi all’interno delle fedi per divenire un sostegno decisivo alla amicizia sociale, contro ogni violenza in nome della fede e nell’esercizio di una libertà vera di fede. Che, purtroppo, resta una meta. Nell’intento dell’enciclica è attesa di fraternità:
l’impegno solenne sottoscritto ad Abu Dhabi tra Ahmad al-Tayyeb e Papa Francesco.
Il testo è stato pubblicato sul numero del 15 ottobre de La voce e il tempo