Una madre catalana appassionata di filosofia e metafisica (Carmen Magdalena Alemany) e un padre indiano, chimico di successo (Ramuni Pániker) si ritrovano, in qualche modo, nel giovane Raimon Panikkar, nato a Barcellona il 3 novembre 1918. Fin dall’inizio, infatti, sono evidenti sia la sua passione per la materia – persegue gli studi in chimica – sia il suo legame col cielo, essendo, come spesso egli stesso affermava, homo religiosus. Il periodo spensierato della giovinezza, trascorso presso il Collegio Sant’Ignazio dei Gesuiti, viene bruscamente interrotto dalla guerra civile spagnola del 1936 che obbliga la famiglia a lasciare repentinamente il Paese e a trovare rifugio in Germania. Qui Raimon continua i suoi studi in chimica presso l’Università di Bonn per poi fare ritorno in Spagna alla fine della guerra civile. Era il 1939 e il nostro ancora non sapeva che non sarebbe più tornato in Germania per terminare gli studi a causa dello scoppio della seconda guerra mondiale. Proprio nel corso del soggiorno forzato in Germania, egli manifesta una spiccata dedizione per la filosofia e comincia a pensare seriamente al sacerdozio. Gli anni che portano alla fine della guerra mondiale vedono il giovane Panikkar riprendere gli studi in chimica, lavorare nell’industria del padre, intraprendere gli studi filosofici e completare la sua formazione teologica di base in seminario, tutto quasi in contemporanea, anche sfidando i regolamenti che non gli consentivano di essere iscritto contemporaneamente a due facoltà (si intrufolava di nascosto nelle aule in cui si tenevano le lezioni di filosofia). Questo turbolento periodo culmina nel settembre del 1946 con l’ordinazione sacerdotale, che ha luogo a Madrid assieme ad altri cinque membri dell’Opus Dei, associazione di cui faceva parte sin dal 1940 in qualità di numerario, a cui si aggiunge nello stesso anno la laurea in filosofia. Da quel momento in poi, anche in seguito alla sua permanenza in India che, dopo una prima partenza del 1954 intervallata da un periodo romano, diventa definitiva dal 1963, i suoi interessi scientifici, filosofici e teologici si allargano e si completano in una pluralità di tradizioni: indiana ed europea, hindū e buddhista, cristiana e secolare. Incardinato fino alla fine dei suoi giorni nella diocesi di Varanasi, in stretto rapporto con l’Europa, in continua relazione con l’America (Università di Santa Barbara in California, dal 1971 e fino al 1987), Panikkar rimane sempre tra più mondi divenendone inevitabilmente interprete e testimone, anche quando si ritira nella sua amata Catalogna (Tavertet), dove, fino alla sua morte avvenuta nel 2010, continua a tenere seminari e convegni sull’incontro filosofico, religioso, culturale tra le diverse tradizioni dell’umanità.
A cent’anni dalla sua nascita ha luogo il convegno organizzato dalla Facoltà di Missiologia dell’Universita Urbaniana da cui nasce questa pubblicazione, senza dubbio un unicum o comunque un quasi-esordio all’interno del mondo accademico cattolico. Attraverso il confronto, i diversi relatori hanno cercato di mappare, almeno orientativamente, lo status quaestionis del pensiero panikkariano, seguendo i filoni filosofico-spirituale, teologico-antropologico e dialogico-missionario. In effetti, si è solo all’inizio di una complessa opera di scavo che porterà ad identificarne più chiaramente le premesse, gli sviluppi e le implicazioni, superando quei semplici slogan, anche accattivanti ed esotici, che spesso ne hanno accompagnato il pensiero. In tale direzione rimangono numerosi i cantieri aperti che meritano un maggiore approfondimento: la parte orientale del suo scibile, troppo spesso ridotta al solo discorso dell’ādvaita; la traccia filosofica, che trova in Eraclito, Parmenide, Plotino e Heidegger interlocutori privilegiati; il sentiero teologico nel quale si intravvede un dialogo fruttuoso con lo Pseudo-Dionigi e la teologia mistica, almeno fino a Meister Eckhart, con Tommaso e la scolastica, con i contemporanei Xavier Zubiri, Teilhard de Chardin e la triade Monchanin, Le Saux e Griffiths, la cui dimensione missionaria (dialogo e annuncio) ancora poco evidente, andrebbe portata alla luce; i percorsi per un rinnovato Umanesimo e, infine, a completamento del quadro, le tracce di un incontro con la scienza, nel caso della Teofisica e dell’Ecosofia. Questo breve excursus basta a dimostrare l’enorme ricchezza e le notevoli potenzialità del pensiero di Panikkar, ancora in massima parte inesplorate.
Proprio seguendo alcune di queste traiettorie, i relatori del convegno ne hanno offerto uno spaccato interessante che vale la pena di presentare sinteticamente. Prendendo le mosse dalle vie del pluralismo odierno, Claudio Torrero intercetta quell’a-teismo religioso che il nostro autore formula a partire dal suo incontro col buddhismo quale nuova possibilità per rivisitare il divino ed offrire una nuova religiosità all’Uomo contemporaneo. Il tema del dire Dio e della esperienza di Dio viene, invece, affrontato da Benedict Kanakappally. Quest’ultimo, movendosi in chiave interculturale ed interreligiosa, sfiora il silenzio di Dio buddhista ed arriva ad identificare una formula dell’esperienza divina dal punto di vista fenomenologico. Carmelo Dotolo indaga, invece, la problematica della fede e della credenza in Panikkar quali «dimensioni ineliminabili dell’umano» che lo autentica, sia ontologicamente, sia nell’atto pratico dell’abbandono fiducioso; tali movimenti risultano entrambi forieri di una corresponsabilità e di una resistenza contro ogni forma di disumanizzazione. Paolo Trianni si pone in certosina ricerca delle premesse del pensare teologico del nostro autore, in parte rinvenibili nell’avventura dei suoi tre compagni di viaggio: Jules Monchanin, Henri Le Saux e Bede Griffiths, ponendo così le basi per un pensiero teologico che egli chiama della “scuola di Śāntivanam”. Scavando nella pluriforme avventura religioso-spirituale del teologo indo-catalano, Gaetano Sabetta ne individua le basi mistiche e indica alcune delle conseguenze, di metodo e di contenuto, che la teologia cattolica potrebbe considerare cosi da muoversi verso una dimensione dialogica ed interreligiosa. Ambrogio Bongiovanni, infine, affronta la dimensione missionaria del pensiero panikkariano, tema di per sé abbastanza nuovo e stimolante. Pur non nascondendo alcuni limiti, l’autore ne sottolinea un grande merito: nel suo approccio contestuale ha ripensato «l’altro non come oggetto ma come soggetto della Missione».
«Tutto riflette quell’Uno che solo splende, e questo intero mondo riluce della sua luce» (Katha Up. 5, 15). «Veniva nel mondo la luce vera, quella che illumina ogni uomo» (Gv 1,9). Queste due massime spirituali fungono da parafrasi al convegno il cui titolo è: L’unica verità nella pluralità delle interpretazioni: raccogliere i frammenti. Raimon Panikkar a 100 anni dalla sua nascita (Pontificia Università Urbaniana, Roma, 29 novembre 2018). La verità, che è Una, va colta e vissuta dunque nella pluralità dei lessici; tutti noi, un po’ come Geremia nella bottega del vasaio (Ger 18,1-11) dobbiamo, con l’aiuto del Signore, mettere insieme i frammenti di un coccio rotto. “Profeta del dopodomani”, “mutante”, “ponte tra l’Occidente e l’Oriente”, “eclettico istrione della parola”, sono solo alcuni degli appellativi, non sempre generosi, rivolti a Raimon Panikkar, senza dubbio uno tra i più significativi monumenti dello spirito umano di questi ultimi 100 anni. Forse, aggiungendone uno, si potrebbe parlare di “Raimon il restauratore”, perché intento a ricercare quei frammenti del vaso rotto così da assemblarlo nuovamente. L’unità del Reale, la ricerca dell’Uno, probabilmente l’unico, definitivo tema di tutto il suo immenso lavoro filosofico, teologico e scientifico – 70 anni di pubblicazioni in 7 lingue. Un po’ come una raga, particolare struttura musicale indiana, la cui costante melodia si combina di volta in volta con un’armonia diversa, gli scritti di questo autore ritornano sempre alla melodia dell’Uno, pur nella differenza armonica dei molti, in una sorta di spirale che lentamente raggiunge il centro. “L’Uno e i molti”, appunto, non “l’Uno o i molti” e nemmeno “i molti o l’Uno”, ecco l’ossimoro nel quale siamo catapultati quando ci troviamo a leggere uno dei suoi libri o dei suoi elaborati articoli. È proprio in quello spazio dell’Uno-senza-secondo, di upanisadica memoria, che egli abita e tiene insieme ciò che sembra all’apparenza incompatibile: est e ovest, religione e scienza, filosofia e spiritualità, teologia e antropologia, missione e dialogo, conoscenza e amore.
Dall’Introduzione a Ritorno alla Sorgente. Raimon Panikkar tra filosofia, teologia a missiologia, a cura di Carmelo Dotolo e Gaetano Sabetta, Urbaniana University Press, Roma 2019