Torino ancora una volta laboratorio della storia? Secondo la sua più intima vocazione di fucina della progettazione politica?
Chissà. Certo i tempi incalzano rovesciando gli abituali scenari; le trasformazioni della politica ovunque, ma in particolare nel nostro paese, si succedono nei fatti, sopravanzando le forme di pensiero che la sottendevano e svuotandole di contenuto. Permangono le contrapposizioni ideologiche, ma come impresse nelle abitudini, senza ormai riferimenti riconoscibili. La politica è affidata a una navigazione a vista, priva di orizzonti, esitante a fare i conti con la storia e ad assumere seriamente linee guida morali, cioè sovraordinate sia alla politica stessa sia all’economia.
Intanto la storia cambia velocemente, e non certo perché trainata qua e là da ideali, come nel passato della modernità, ma perché mutamenti sociali e tecnologici irrompono con velocità crescente, tale da spiazzare ogni programma che non sia quello di assecondare semplicemente i tempi.
Ebbene, a fronte di uno scenario tanto sconcertante, proprio la politica non dovrebbe farsi sfuggire un carattere distintivo della novità storica che viviamo, cioè che le nostre società sono multietniche e multireligiose; né mancare di ancorare la sua flessibile condotta a principi e fini coerenti e non subordinati a interessi illeciti, cioè morali. Del resto, il discredito che l’investe non è forse di natura morale? E a fronte dello strapotere della tecnologia, quale argine può esistere, se non la moralità che ne indirizzi l’uso?
Queste riflessioni ci sono suggerite a margine del convegno che ha avuto luogo il 22 aprile a Torino, dal titolo Una politica di dovere e compassione, promosso da Interdependence, associazione che da anni svolge un ruolo di elaborazione culturale a partire dall’incontro interreligioso.
Nell’accogliente sala di uno degli splendidi palazzi storici torinesi si svolge una preziosa riflessione a più voci, a cui prende parte nell’inconsueta veste di teorico il sindaco Fassino. Il pubblico che affolla la sala è interessatissimo, e per circa due ore rimane concentrato e col fiato sospeso: ciò che fa pensare che tale evento, testimoniato da poco più di un centinaio di persone, in realtà delinei un forte indirizzo in merito all’impegno politico, che corrisponde a un’attesa non più eludibile.
Il tema di una politica basata sull’etica e sulla compassione viene accolto con entusiasmo dai vari oratori, attraverso cui si esprimono varie confessioni religiose.
A presentarli è Don Ermis Segatti, docente della Facoltà Teologica ed esponente di primo piano dell’Arcidiocesi di Torino – tra l’altro per molti anni referente della Pastorale della Cultura. È presente Piero Fassino, sindaco di Torino e notoriamente figura di rilievo della politica italiana degli ultimi decenni.
Per primo prende la parola il Pastore Rino Sciaraffa, a nome di una realtà religiosa, quella delle Chiese Evangeliche, ormai imprescindibile nel contesto sociale. Si annoverano infatti più di cinquanta Chiese nel solo territorio di Torino, e ciascuna rappresenta un’esperienza di fede particolarmente viva, nonché una costante attenzione a quelle periferie esistenziali di cui parla Papa Francesco. Lo stesso Sciaraffa è portavoce per l’Italia di Compassion, organizzazione caritativa che si occupa di azioni di aiuto a livello internazionale.
Occorre tener conto che, sul piano della geografia mondiale dei fenomeni spirituali, le Chiese Evangeliche rappresentano una reviviscenza di straordinaria vitalità e diffusione, sull’onda soprattutto delle correnti pentecostali americane, che si innesta sul tronco del Cristianesimo riformato. Significativa sotto questo aspetto, nel contesto del convegno di cui parliamo, la presenza in sala dei Pastori della Chiesa Valdese Paolo Ribet e Giorgio Bouchard.
Prendendo dunque la parola, Rino Sciaraffa enuncia con chiarezza una posizione che, pur muovendo dall’assunto, tipico della Riforma, della laicità e della distinzione tra Stato e Chiesa, tiene a precisare che ciò non significa disinteresse per la dimensione politica.
La fede non ha ricadute immediate sul terreno politico, ma offre prospettive di senso, che influenzano, attraverso la mediazione dell'etica, gli orientamenti di fondo che guidano le scelte e le azioni politiche.
Le realtà temporali (economia, politica, cultura, istituzioni sociali) sono un bene in sé, hanno un valore proprio, guidate da leggi e procedure proprie; sono un terreno comune per tutti gli uomini di buona volontà, se vogliamo usare una espressione neotestamentaria e legata al Sermone sul Monte di Gesù. L'autonomia non è però assoluta, in quanto tali realtà sono orientate al bene umano integrale e universale. La politica è proposta concreta di convivenza e quindi fa riferimento all'etica, ad un quadro di valori orientato alla centralità della persona umana e nel rispetto della sua dignità, nel percepire il bene comune nella prospettiva dell'intera famiglia umana, nel rispettare la fondamentale uguaglianza tra tutti i cittadini.
In questo il testo biblico ci offre (nel Primo e nel Secondo Patto) una dimensione etica profonda.
L'etica cristiana ha il proprio fondamento nella persona e nella prassi di Gesù e si lascia interpellare dalla realtà, con un'attenzione privilegiata ai poveri. È preoccupata non di risalire ai fondamenti del giudizio etico ma di elaborare un ethos concreto per una alternativa storica di radicale cambiamento. Compito dell'etica non è dunque solo di giudicare i processi, ma anche di orientarli. Etica e politica si intersecano in questa prospettiva.
Si tratta allora di uscire da una prospettiva, a cui la stessa Riforma potrebbe aver contribuito, di de-socializzazione e de-storicizzazione del Cristianesimo, come se si riducesse a un rapporto individuale e privato con Dio.
Il ruolo della fede è quello di svolgere una funzione critico-profetica in nome della memoria sovversiva della passione morte e resurrezione di Cristo, sorgente di giudizi fortemente critici della Sua situazione storica. La fede, dal suo canto, diventa azione costante di impegno nella trasformazione del mondo.
Questa dimensione dell’Esser-ci nella Storia è presente del resto nell’Ebraismo. La dimensione profetica aveva un suo orizzonte critico e di richiamo etico alla politica del tempo.
Il secondo intervento è di Riccardo Saccotelli, rappresentante dell’Islam presso il comitato interfedi di Torino.
Come noto la comunità islamica è ciò che più visibilmente segnala la trasformazione in senso interculturale della nostra società. Il suo costante ampliamento è accompagnato da diffuse inquietudini, e gran parte del dialogo interreligioso ha in realtà essa come fondamentale interlocutore. E poiché l’Islam tende a essere percepito come un progetto alternativo rispetto all’idea di società configuratasi in Occidente, tanto più importante è il suo confrontarsi con ciò che in Occidente si è definito come sfera politica.
Ovviamente si tratta di un confronto tutto da costruire, e non a caso Saccotelli sceglie di chiarire un presupposto fondamentale, ricorrendo a un racconto che mette in luce la vocazione compassionevole dell’Islam. Quanto più incombe la deformazione che dell’Islam fanno i gruppi fondamentalisti, tanto più importante è scoprirne la vicinanza alla più comune umanità.
In un giorno caldissimo, come lo sono spesso le giornate d’estate in Medio Oriente, una prostituta, passando vicino ad un pozzo, vide un cane nero che stava per morire di sete. Era con la lingua penzolante, mangiava tristemente la sabbia umida...
La donna si commosse per lo stato della povera bestia. Non trovando nessun altro recipiente per prendere l’acqua, si sfilò una scarpa, la legò alla sua sciarpa e la fece scendere dentro il pozzo. Riempì la calzatura d’acqua fresca e la offrì al cane, che finalmente poté dissetarsi.
Per questo atto di generosità e misericordia, Dio perdonò i peccati della donna. Il Profeta si rivolse dunque ai dotti che l’avevano sempre biasimata, dicendo che avrebbe raggiunto il Paradiso prima di loro.
Il racconto parla di una compassione totale, tanto fisica quanto metafisica. Il valore della misericordia viene compreso dal peccatore, anche se il suo pentimento spesso è inconsapevole, addirittura non cercato. A volte un solo gesto è capace di salvare una vita. La compassione è dunque uno dei modi più evidenti in cui Dio esprime la Sua comprensione per la natura umana.
Dopo questi due interventi, da parte di tradizioni ben consolidate e diffuse a livello mondiale, ci sono quelli di due confessioni “nuove”, sorte rispettivamente dal solco cristiano e da quello islamico.
Il primo è della Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli Ultimi Giorni, coloro che sono comunemente noti come Mormoni. Una confessione che ha preso forma nell’Ottocento americano attraverso una rivelazione, contenuta nel Libro di Mormon, che ricolloca in un diverso quadro i riferimenti dell’Antico e del Nuovo Testamento.
La fede dei Mormoni è fortemente impegnata nel servizio ai bisognosi. Prendendo dunque la parola, Giusy Griffa si sofferma particolarmente su una delle grandi questioni con cui una politica orientata alla compassione deve confrontarsi: quella dei profughi. Per intendere che un carico sociale può oggi trasformarsi in una preziosa occasione spirituale, fa ricorso a una vivace metafora.
Un amico, durante i suoi primi anni di matrimonio, era convinto di aver bisogno di un pick-up a trazione integrale. Sua moglie era certa che non ne avessero bisogno... alla fine acquistarono il pick-up e per dimostrarne l'utilità, il marito decise di andare in montagna per raccogliere legna confidando nella potenza del suo pick-up nonostante che in autunno ci fosse già la neve.
Purtroppo egli si addentrò troppo nella strada innevata e rimase bloccato. Tutte e quattro le ruote giravano a vuoto. Si rese subito conto che non sapeva cosa fare per uscire da quella situazione pericolosa. Era imbarazzato e preoccupato.
Egli pensò: “Di certo non rimarrò seduto qui”. Scese dal veicolo e iniziò a tagliare la legna. Riempì completamente la parte posteriore del pick-up con un carico pesante. Poi decise di provare ancora una volta a tirarsi fuori dalla neve. Quando inserì la marcia e spinse sull'acceleratore, iniziò ad avanzare lentamente. Pian piano uscì dalla neve e ritornò in strada. Finalmente era libero di tornare a casa, sentendosi un uomo felice e più umile.
Fu il carico. Fu il carico della legna che gli fornì l'aderenza necessaria per uscire dalla neve per tornare sulla strada e proseguire. Fu lo stesso carico che gli permise di tornare a casa dalla sua famiglia.
Anche noi portiamo un carico. Il nostro carico personale è fatto di richieste ed opportunità, di obblighi e di privilegi, di sofferenze e di benedizioni, di scelte e di limitazioni.
Due domande possono esserci utili per valutare il nostro carico:
- il carico che sto portando sta producendo quell'aderenza spirituale che mi permette di andare avanti nel sentiero stretto e angusto?
- sta creando sufficiente aderenza spirituale da poter infine tornare a casa dal Padre Celeste?
La seconda “nuova” confessione è quella dei Bahai, sorta anch’essa nell’Ottocento ma nella Persia musulmana. L’ispirazione da cui sorge è che tutte le religioni della storia siano fasi di un’unica Rivelazione che procede da Abramo e Mosè attraverso Zoroastro, Krishna, Buddha, Gesù e Maometto fino al fondatore della stessa fede Bahai, cioè Bahá’u’lláh. Ponendosi come esplicito orizzonte l’unità del genere umano al di là delle differenze di popolo e razza, la fede Bahai contiene un importante principio politico, perché vede la società come un’unità in cui convergono diverse funzioni.
Così si esprime Flora Sabet.
Il concetto di politica è strettamente collegato ad alcuni altri concetti quali libertà, civiltà, diritti umani, etica.
Bahá’u’lláh, fondatore della Fede Bahá'í, ha portato un nuovo messaggio divino investendo di nuovo significato queste parole. Così, ad esempio, libertà non vuol dire che l’individuo può fare ciò che vuole e uguaglianza non significa che i singoli componenti dell’umanità sono tutti uguali tra loro.
Veniamo alla democrazia. Per ‘Abdu’l-Bahá (1844-1921), interprete e successore di Bahá’u’lláh, la civiltà è un organismo sorretto da uno spirito che lo permea e lo guida – un organismo nel quale le singole unità non possono essere uguali; ciascuna ha una propria funzione da svolgere per il funzionamento dell’insieme. L’egualitarismo è una falsa interpretazione della giustizia: solo nell’unità l’uomo può trovare realizzazione, perché l’unità consiste in un unico spirito animante la diversità degli uomini.
Prende infine la parola Ireneo Torrero, esponendo le linee generali di una possibile visione politica di Interdependence; associazione il cui stesso nome già contiene precise indicazioni in merito. Ciascuno di noi non è un’entità isolata, ma è già sempre in relazione con gli altri e con l’ambiente. Da ciò consegue il riferimento alla comunità come presupposto originario della politica in quanto tale, e tanto più di ciò che è stato inteso come politica di dovere e compassione.
Si inserisce a questo punto Giampiero Leo, noto esponente della politica cattolica torinese, che esprime approvazione per quanto è stato detto e in generale per il senso del convegno. Ritiene che si stiano manifestando energie capaci di conferire alla politica nuova linfa.
Dopo di che Fassino, che ha ascoltato silenzioso e attento tutti gli interventi, conclude con un discorso che ricostruisce con precise pennellate il quadro delle gigantesche trasformazioni storiche da cui la nostra società è stata attraversata negli ultimi decenni.
Il Novecento è stato il secolo del ciclo produttivo meccanico, e oggi siamo nella società digitale. Il Novecento è stato il secolo del Welfare, cioè di una redistribuzione della ricchezza prodotta in termini di lavoro, diritto all’istruzione, tutela della salute e di servizi, e oggi siamo di fronte ovunque a una crisi fiscale degli stati che mette in causa quel sistema. Siamo cresciuti per un lungo periodo in una cultura industrialista, che pensava che lo sviluppo fosse la produzione ininterrotta e lineare di beni, merci e tecnologie, e oggi dobbiamo fare i conti con i limiti dello sviluppo: penso alla grande questione ambientale, che ci mette di fronte ogni giorno al tema del limite dello sviluppo, e quindi cambia il paradigma del rapporto fra uomo e natura. Le frontiere della scienza si sono spinte a cambiare elementi fondamentali della vita e della morte: pensiamo alle molte modalità di procreazione che con la scienza si sono venute acquisendo rispetto alla procreazione naturale; oppure a come la scienza, intervenendo sul corpo umano, ha esteso e dilatato il tempo della vita e le modalità anche della sua estinzione.
Cioè siamo dentro un mondo che è caratterizzato da un sommovimento gigantesco, che obiettivamente, non per volontà di qualcuno, produce sentimenti che vanno nella direzione opposta rispetto alla coesione, all’inclusione, alla solidarietà e alla fraternità; perché questo enorme cambiamento – penso alla globalizzazione economica e alle sue dinamiche – riduce il senso di appartenenza e tende a comprimere il senso dell’identità; e questo non è cosa di poco conto nella vita delle persone e di una società.
Tutto ciò spiega tra l’altro perché si sia verificato un indebolimento della politica. I nostri ordinamenti democratici si sono configurati infatti in una condizione storica in cui la sfera dei poteri dello Stato e quella dei mercati coincidevano, mentre ora la seconda si è enormemente dilatata fino a rendere del tutto problematico un controllo su di essa. E la dilatazione dello spazio ha come contraltare una contrazione del tempo: la percezione degli eventi è nel tempo reale, e appare in contrasto coi tempi differiti dei dibattiti parlamentari. In ogni caso la frantumazione della vita sociale e della stessa coscienza personale devono essere contrastati da un rinnovato senso di appartenenza che la stessa globalizzazione sembra suggerire. Si può pensare che la parola chiave sia proprio “interdipendenza”. E che essa dia anche ragione del pluralismo intrinseco alla nostra società.
… questo ragionamento spiega perché il mondo è percorso da integralismi, da radicalizzazioni, da forme esasperate di individualismo e di egoismo, e da una generale condizione di solitudine che attraversa la vita delle persone e delle collettività. Io guardo a tutto questo con grande preoccupazione, e penso che non debba essere accettato e anzi vada contrastato. E contrastare tutto questo significa secondo me essere consapevoli, ciascuno di noi, di essere parte. Cioè sapere di essere in un mondo interdipendente, con un grado di interdipendenza che mai è stato conosciuto fino a oggi. Perché l’apertura dei mercati, la rapidità della comunicazione, la pervasività delle tecnologie determinano un grado tale di permeabilità, di interdipendenza, che non c’è fenomeno che si manifesti che possiamo pensare che non ci riguardi. Tra l’altro, ce lo ricorda ogni giorno la comunicazione televisiva, che porta nelle nostre case immagini di eventi che si svolgono lontanissimi da noi, ma che, entrando prepotentemente e spesso in modo scioccante nel nostro vissuto quotidiano, ci fanno capire quanto ci appartengono.
Sapere di vivere in un mondo interdipendente è quindi assumere l’interdipendenza come una dimensione che ci riguarda, che richiama la nostra responsabilità. Sapere che si vive in un mondo plurale: nelle storie, nelle culture, nelle religioni; e che soltanto riconoscendo la pluralità del mondo si può pensare di essere riconosciuti. E questa è la grande responsabilità che abbiamo.