Ante galli cantum
Terza veglia della notte
All’origine, fu l’anima.
Essa infatti era bensì felice di abitare la dimora celeste, cantare in coro con gli angeli e –perfino- intrattenersi in dolci colloqui serali con la divina maestà; ma un’inquietudine la angustiava un’ansia indeterminata, un pùngolo un desiderio di non so che cosa –a cui diede nome di forma. Voleva farsi forma.
E sfinita alfine da questa spina pungente che la inquietava quasi come una disperazione –se ciò fosse possibile nel più alto dei cieli- si rivolse, in uno di quei mirabili colloqui serali, alla maestà divina.
Ante galli cantum
Tu, che il dèmone
desta di mezzanotte attendi una voce
dal buio abitato –dal silenzio
frantumato delle strade dal cuore
di una lunga veglia di ospedali.
È il giorno in acque scorpione
partorito densa luce di prima alba
ora discesa –
l’ora del seme che non bruciò
la fioritura della terra.
Caro,
il tempo è come il mare. Isole delle sue profondità emergono – affiorano e riaffiorano le cose.
Risorge.
L’occhio della notte
il tramonto che celeste prossimità
respira.
Il filo tenace. È vero
-netto non è il confine- ma è.
Un giro è compiuto da passi di luna
solcato –tuona
vicino il tempo di festa nel diamante
dell’ora: questa.
E si sfoglia la rosa.
Sesta
Non era tuttavia ignota alla potenza divina l’estrema fragilità di queste sue creature; la loro anima bambina la disposizione a una certa superficialità di pensiero; la curiosità stessa – uno dei doni suoi più prodigiosi - che a ogni seduzione li esponeva. Ecco la ragione di un’isola come loro dimora, e il racchiuderla entro un impenetrabile fogliame - estrema protezione dalla loro debolezza. E dalla sua propria.
Ma impenetrabile lo era fino a un certo segno: esistevano forze contrarie in grado di sviscerarne un sentiero, e valicarlo: la meta loro essendo l’imbrigliamento della creazione cui esse fieramente si opponevano. E il gelo del creato – cieco abituale, mano sinistra volto sigillato – in buia nebbia muovendo su di essi posò e li avvolse con parole di mormorazione.
Un giorno, aprendosi una breccia nel fitto dei rami giunse alle amene sponde del piccolo lago, al boschetto di salici dove i due trascorrevano il tempo del sonno sogni intrecciati sognando. E nel silenzio degli uccelli - penombra del sonno pregno già di risveglio, con lingua bugiarda loro si volse, durante una siesta infuocata della vampa meridiana.
Sesta
Mala ora.
Orofuoco si aggira gioia del male
non peritura – squadernati
rafficano i giorni dell’oggi
Battito di cielo a mezzanotte –
spezzata alla luce ogni forma
cantati in incensi fiorisce
leggiero –
del pane all’attesa con tutti
spezzato rintocca – angela ora.
Caro,
si pongono oggi alla salute del corpo attenzioni e cure analoghe a quelle che un giorno si ponevano alla salute dell'anima. Nessuno pare invece curarsi di questa che, semplicemente, non è data più per esistente.
Riducendosi - quando se ne fa menzione - al nudo cervello.
A volte nelle sere di un ritorno
in un giorno duro dal vento
turbato di Aquilone -
giorno scuro di pietà
una mano di saluto
tu vorresti che le cose
placasse che salgono dal cuore
Strano ritorno che confida
e a più vasta carità si affida.
Compieta
Costernata messaggera, salì la piccola anima all’aura divina.
Con parole di passione rammentando le belle qualità dei doni profusi alle due creature: il vicendevole amore soprattutto, insidiato ora dall’amara cecità di cui erano fatte preda: ricordando quanto l’avvilimento presente fosse frutto di quell’immatura follia a lei tanto nota, e come l'attraversamento del grande giardino avrebbe potuto forgiarle e condurle a ritrovare l'essenza originaria - dai rovi della terra irrobustite.
Stringe la fune
piega le ali
la soma della terra
Ancora una volta cedette la grande forza del cielo nella stessa sua pena.
E parlò.
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Nell’ora che annunzia le vie della sera disse dunque così l’anima fiamma leggiera:
In abito sorgerete di vento
su fondali brilleranno
i corpi vostri marini
illuminati e resi sapienti dal vicendevole amore viandanti della notte conoscenza avrete attraverso dolore - la falda della vita. Agile piuma si stenderà allora il vostro cuore sul cangiante oltremare di occidente: misericordia vi accoglierà di morte - sorriso della sera.
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Vicini, ma non per mano, si incamminarono i due lungo le strade tanto ampie e vuote del grande giardino-terra; tale infatti era il decreto: l’intera terra percorrere e lì svolgere il compito del viaggio assegnato. Turbati tremanti al ricordo dei sentieri di rose della bianca isola di neve.
E qui, timorosa una fiducia pervadendoli si posò sulle loro spalle come uccello fiorito - e di lontano giunsero sibilline parole
Dilavate vi inonderanno le acque; acqua attraverserete
amara fossile nella pietra la ritroverete; in acqua
vi sazierete di diamante e nella preziosa vi specchierete
perla di oriente. Nell’acqua fra le onde stanca
nell’acqua viva e nella morta di palude dell’acqua
il filo troverete che giunge fino a me.
Compieta
Spalla di Dio
a te guarda la notte nel silenzio
di un volo – l’arreso tempo del giorno
e il fiore santo della mora
Celeste nell’ora che prega il nome
mostra l’ucciso – la lettera
incisa di amore compiuto crinale -
Discende
di pianto la piuma su occhi che sbocciano
ancora – l’accanto sorriso dei morti.
Caro,
siamo forse come analfabeti o come chi di una lingua abbia veduto soltanto qualche lettera o qualche frase qua e là spezzata, ma non ne conosca né l’alfabeto né la struttura e non sia quindi in grado di intendere i segni che pure intravede né di comprendere con chiarezza se veramente di una lingua si tratti; e sembra quasi che vi sia un grande fiorito arazzo di cui soltanto talvolta e in maniere per lo più incomprensibili sia dato vedere qualche intreccio della trama, ma mai tutto l'insieme e neppure un numero di fili tale da far cogliere il disegno generale; e che infine la trama il disegno la lingua l’arazzo il merletto siano, ma la possibilità di interpretarli o molto limitata dalla nostra ignoranza o tanto temuta da fare sì che non li si voglia affatto né leggere né interpretare, non volendo sapere ciò che in realtà sappiamo o sapremmo, o avremmo almeno la facoltà di sapere.
Insomma, sarebbe meno oscura la trama, se solo si volessero guardare la ricamate connessioni le intime corrispondenze che la compongono.
E di te si illumina l’abito
di Dio - la terra spoglia
che ci accoglie meno scabra
respira. Se tutto è perduto
l'inconosciuto rimane - certezza
di speranza - il non finito suprema
conoscenza.
E guardo
il cielo scurito
dalle luci e guardo la terra
ostruita dai suoi formichi –
e guardo il cielo
Stelle
vi sono e luci non mie
né tue ma di nuda
eternità soltanto.
Da Carla Cantini, ‘Piccolo salmo laico’, Moretti e Vitali, Bergamo 2013