Ut unum sint: prima di tutto l’unità. Fratelli separati in passato, fratelli uniti ora dopo quasi mille anni, ma sempre fratelli.
E dall’unità sgorga, come da naturale sorgente, il progetto per continuare a camminare insieme con forza rinnovata. Precisa Papa Francesco: «L’unità non verrà come un miracolo alla fine, viene nel cammino. Camminare insieme è già fare l’unità». Il cammino compiuto per arrivare all’incontro tra Papa Francesco e il Patriarca Kirill, un atto ufficialissimo ai vertici che sancisce quanto già a livello di incontri tra le persone da tempo ormai pare naturale. Ma anche il cammino che da ora non potrà ignorare il contenuto di un documento molto esplicito sottoscritto da entrambi. Le parole sono limpide, senza sconti, senza sofistiche acrobazie. «Il vostro parlare sia - sì, sì; no, no - il resto viene dal maligno» (Mt 5,37), anche su temi di scottante attualità immediata, come ad esempio quello del rapporto tra Russia e Ucraina. Ma in realtà tutti i temi toccati sono scottanti e di eterna attualità, e riguardano l’umanità tutta (le persecuzioni dei Cristiani, la libertà religiosa, la povertà e le inaccettabili disuguaglianze economiche, la famiglia, la vita). «Il lavoro che potremo fare insieme, sottolinea Kirill, riguarda il futuro della civiltà umana».
La lettera del messaggio deve essere preservata nella sua purezza e intesa come perfettamente coincidente con lo spirito. Non importa se attorno all’avvenimento ci sono, e ci sono sicuramente, opportunismi politici e strumentalizzazioni. È cosa che va messa in conto. Non viene strumentalizzato perfino il Vangelo? Questo gli toglie forse valore?
La scelta di incontrarsi a Cuba, se per un verso può essere motivata da esigenze di neutralità, ci dice anche del respiro universale dell’incontro. I due primati guardano al mondo intero e sono consapevoli di essere a capo di Chiese non riducibili alla dimensione europea.
«Anche se le nostre difficoltà non si sono ancora appianate, c’è la possibilità di incontrarci, e questo è bello», dice il Patriarca al termine del colloquio. E Francesco: «Abbiamo parlato come fratelli, abbiamo ricevuto lo stesso battesimo, siamo vescovi». Entrambi vescovi, dice già tutto sul clima di un incontro che intende escludere ogni rivalità.
Rimangono ancora delle difficoltà, ammettono entrambi. Per esempio su questioni dogmatiche. Tuttavia, se per un verso queste sono le più complicate da risolvere, sono probabilmente anche le più facili da mettere tra parentesi. Senz’altro la pastorale viene prima. Francesco esorta: «L’unità si fa camminando insieme. Se si facesse anzitutto teologia, quando arriverà il Signore ci troverebbe ancora a discutere».
Un traguardo quindi che è anche un inizio.
Traguardo rispetto ai tentativi precedenti da parte di Giovanni Paolo II e Benedetto XVI, che non sono arrivati a conclusione, ma hanno comunque tracciato un sentiero.
Giovanni Paolo II sosteneva con forza la necessità che l’Europa respirasse a due polmoni, citando, non certo a caso, un poeta russo. L’espressione è infatti di Vjaceslav Ivanov che nel 1926 confessando a Roma il Credo cattolico, si sentiva «per la prima volta ortodosso nella pienezza dell’accezione di questa parola, in pieno possesso del tesoro sacro, che era mio dal battesimo, e il cui godimento non era stato da anni libero da un sentimento di malessere, divenuto a poco a poco sofferenza, per essere staccato dall’altra metà di questo tesoro vivo di santità e di grazia, e di respirare, per così dire, come un tisico, che respira con un solo polmone».
Traguardo anche rispetto a speranze e profezie che in Russia hanno il nome di Dostoevskij e Soloviev, maestro ed allievo, l’uno dell’altro ma anche l’altro dell’uno. Essi vedevano nella separazione tra i cristiani d’Oriente e d’Occidente un grande peccato ed una grande sventura.
Scrive Dostoevskij: «Se un gran popolo non ha fede che la verità stia in lui … se non ha fede di essere il solo capace a risuscitare e a salvare tutti con la propria verità, si trasforma immediatamente in materiale etnografico, e non è più un gran popolo» (da I Demoni). «Questo non è che il grande destino dell’ortodossia sulla terra. Perché è dall’Oriente che sorgerà e risplenderà questa stella» (da I fratelli Karamazov). Leggiamo anche parole durissime sull’Occidente in una lettera scritta ad un amico nel 1870: «Tutta la missione consiste nell’ortodossia, luce che si riverserà sull’accecata umanità occidentale che ha perduto Cristo».
La verità di Dostoevskij, troppo spesso liquidato frettolosamente come nazionalista e sostenitore della superiorità della Russia, va cercata nel profondo della sua anima, laddove alberga la convinzione che solo una religione cristiana veramente fedele a Cristo può affermarsi e illuminare il mondo.
Ci aiuta a capirlo Soloviev, che al progetto e alla speranza dell’unità di tutti gli uomini nell’unico Regno di Dio ha dedicato la sua opera e la sua vita. Leggiamo nei tre discorsi, intensi e bellissimi, che egli pronuncia alla morte di Dostoevskij:
«È vero che egli considerava la Russia il popolo eletto da Dio, ma non eletto per rivaleggiare con gli altri popoli e dominare e predominare su di essi, ma per servire liberamente a tutti i popoli e realizzare, in fraterno accordo con essi, la vera umanità universale … Conciliarsi sinceramente col cattolicismo e con l’ebraismo significa prima di tutto distinguere in essi ciò che viene da Dio e ciò che viene dagli uomini … La vera conciliazione consiste nel comportarsi con l’avversario non in modo umano ma divino».
È significativo che Soloviev parli anche di ebraismo e proprio in riferimento a Dostoevskij, generalmente poco tenero nei confronti degli Ebrei. Ma possiamo fidarci, egli ne conosceva a fondo il cuore.
Vale la pena ricordare che Vladimir Soloviev muore a quarantasette anni nel 1900 e si spegne pregando in ebraico per gli Ebrei.
L’incontro tra il Papa e il Patriarca, non a caso avvenuto lontano dall’Europa, è dunque la realizzazione di un sogno antico: il mondo cristiano finalmente respira a due polmoni e, ben radicato in Cristo, può ora dialogare oltre, perché non c’è solo l’Europa e non c’è solo il Cristianesimo.
Ex Oriente lux, su tutta l’Umanità la luce che non tramonta.