In morte di Pier Paolo Pasolini

pasolini 1È tipico di una società secolarizzata che l’artista e l’intellettuale abbiano a rivestire ruoli in precedenza attribuiti alle figure religiose.

In un contesto dominato da moventi strumentali, essi appaiono perseguire scopi non utilitaristici. Per quanto la loro opera non sia estranea a strategie politiche, e neppure a quelle dell’industria culturale, tuttavia la si vuole irriducibile all’ordine vigente; testimonianza, soprattutto se pagata a caro prezzo, di un impegno analogo a quello con la trascendenza.

Si ha bisogno di pensare a un rapporto con la verità; che ci si possa immergere nel proprio tempo non per rispecchiarne banalmente il gusto, bensì per rivelar qualcosa di cui esso è ancora inconsapevole. Il mezzo può esser vario: parole, forme, suoni; ma il fine è quello. Si è guidati da una forza sovrastante, che trascina e travolge.

 

Quarant’anni fa moriva, in un modo tanto scandaloso da sembrare frutto del suo genio artistico, Pier Paolo Pasolini. Non vogliamo qui parlare della versatilità espressiva, bensì del suo rapporto con la verità. Un rapporto intenso, sofferto, pieno di contrasti e di ripensamenti. Pur facendo proprie le idee dominanti del suo tempo, non gli si può negare di aver messo la sua persona in gioco, né un sincero amore per l’umanità.

Negli anni della sua celebrità erano vive passioni oggi estinte, sia pure in un contesto che le rendeva ambigue. Da un lato ciascuno era proiettato verso ideali che lo trascendevano; dall’altro, in Italia soprattutto, i giochi erano predefiniti. Chi doveva governare e chi no era stato deciso nella spartizione del mondo; il che introduceva, nel quadro delle passioni ribollenti, un elemento di falsità. Se non era del tutto vero che la Democrazia Cristiana difendesse la libertà, dal momento che le scelte discendevano dai poteri costituiti, interni e internazionali, neppure lo era che il Partito Comunista lottasse per un cambiamento: si adattava piuttosto alla realtà di fatto, ottenendo in cambio contropartite consistenti.  

Accadde così che il partito cattolico, dopo aver avuto un ruolo decisivo nel contenimento delle forze comuniste, non trovò nulla di meglio che lasciar loro l’egemonia culturale. In questo modo contribuì a decretare la sua fine, per il discredito che venne accumulandosi nella coscienza collettiva, sempre più altrimenti orientata. D’altra parte la cultura egemone era tale senza suo merito, ma per effetto di una spartizione del potere: il che generava conformismo sotto le vesti dell’anticonformismo.

Pasolini, cattolico per nascita e per intima vocazione, dunque non poté, in quanto intellettuale, che essere comunista. A differenza di altri visse però quella scelta con tormento personale e costantemente circondato dal sospetto. Soprattutto l’omosessualità, a quei tempi non certo bene accetta come lo è oggi, fu la cifra di una sofferenza che lo poneva in contrasto con gli ambienti di cui faceva parte. Divenne comunque una delle figure intellettuali più prestigiose, anche perché la sua trasgressività era in sintonia con quella che diffusamente stava affiorando nella società. Il paradigma della lotta di classe cedeva infatti il posto a una rivolta insinuatasi nell’intimo dell’uomo, di cui la sessualità era il simbolo.

Fu a quel punto, negli ultimi suoi anni di vita, che a Pasolini si lacerò almeno in parte il velo degli equivoci nel quale il suo percorso era stato avvolto, e di cui egli stesso era diventato emblema. Il potere col quale finora si era sentito in lotta, coi suoi arcaici tratti autoritari e patriarcali, stava venendo meno. Al suo posto emergeva un potere di tipo nuovo, più subdolo, che dall’emancipazione traeva alimento.

 

È lecito vedere oggi Pasolini come ispiratore di una nuova critica sociale, ben più radicale di quella precedente perché va davvero alla radice delle cose, anziché perdersi nell’ideologia. Non si può dire quanto egli abbia fatto in tempo a muoversi su questa strada, né quale coerenza abbiano quei testi a cui si guarda oggi come lampi profetici.

Una cosa però non viene detta: che con lui è morto forse quell’artista-intellettuale che in epoca moderna tanto si è voluto esaltare, in compensazione di quel che si andava perdendo. Nella società secolarizzata infatti i suoi tormenti, le sue contraddizioni e le sue fragilità morali hanno finito per essere contrassegno di autenticità, da cui attingere una verità percepita come assente.

Forse quel 2 novembre di quarant’anni fa, giorno dei morti, sul lido di Ostia si compiva un destino non soltanto personale.

 

  

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