Più forti delle armi

Piu forti delle armi«Oggi, nell'era del mondo globale, disponiamo degli strumenti per conoscere quanto accade anche lontano da noi: guerre, genocidi, popoli in fuga, persecuzioni. Eppure spesso tutto ciò si svolge nel silenzio del mondo. O nell'indifferenza. Anche oggi, come nel passato, molti scelgono di non scegliere, rimanendo alla finestra, come spettatori che assistono a un naufragio». Sono le inquietanti parole di Anselo Palini poste a conclusione del suo libro Più forti delle armi. Dietrich Bonhoeffer, Edith Stein, Jerzey Popieluszko (Roma, Editrice Ave, 2016, € 15, p. 346), con le quali pone urgenti interrogativi al nostro tempo.

Capita ancora di chiederci come sia stato possibile che coloro che sapevano cosa accadeva nella Germania nazista, non abbiano fatto niente. La stessa domanda, purtroppo continua ad essere valida anche ai nostri giorni. Sappiamo, vediamo, assistendo in diretta a distruzioni, esecuzioni, violenze di ogni tipo come si trattasse di un film, ormai assuefatti all'orrore di immagini, che quasi non riusciamo più a distinguere se siano reali o virtuali, e come anestetizzati.

Dietrich Bonhoeffer e Edith Stein, vittime del regime nazista, Jerzey Popieluszko, vittima del regime comunista polacco negli anni di Solidarnosc, dei quali già tanto è stato trattato, interpellano fortemente le coscienze. Testimoniano con la loro vita la possibilità di attraversare la storia rimanendo fedeli a se stessi, senza farsi travolgere dai marosi dell'inganno, della violenza, della più orribile sopraffazione. «Resistenti non violenti, non hanno risposto al male con il male, ma con parole di verità e azioni di giustizia». Mettendosi completamente in gioco «hanno anteposto il primato della coscienza, la fedeltà ai valori della pace e della libertà perfino alla propria vita». Il senso della memoria non è solo quello di riportare all'attenzione eventi di un tempo storico ancora prossimo, ma di scuotere le coscienze, spesso intorpidite di fronte alla realtà. Palini attraverso una ricostruzione puntuale fatta sui documenti, riesce a mettere a fuoco la vita di queste tre grandi figure facendole emergere come punti di luce nell'oscurità del tempo. Quanto li accomuna è la determinazione a guardare in faccia la realtà, ad accollarsi la sofferenza del mondo incarnando fino in fondo quell'amore che travalica i limiti umani. Dice Bonhoeffer: «le battaglie non vengono vinte con le armi, ma con Dio [...] anche laddove la strada porta alla croce». Edith Stein ugualmente afferma: «quelli che capiscono che tutto questo è la Croce di Cristo, dovrebbero prenderla su di sé in nome degli altri». Nel 1938 mentre incalzano le persecuzioni contro gli ebrei e prende campo l'ideologia della razza, il governo delle chiese ufficiali chiede a tutti i pastori un giuramento di fedeltà a Hitler. Bonhoeffer prende esplicita posizione: «La Chiesa è rimasta muta quando invece avrebbe dovuto gridare, perché il sangue degli innocenti gridava al cielo». Sceglie di «guardare i grandi eventi della storia universale dal basso, dalla prospettiva degli esclusi, [...] degli oppressi, dei derisi, in una parola dei sofferenti». Certamente è difficile leggere la storia mentre la si vive, è molto più facile leggerla a posteriori quando le cause hanno maturato i loro nefasti effetti. Ma proprio il vangelo invita a stare svegli, a cogliere i segni di quanto accade: «Ipocriti! Sapete giudicare l'aspetto della terra e del cielo, come mai questo tempo non sapete giudicarlo» (Lc. 12, 56). Anche Edith Stein è subito consapevole del pericolo che il nazismo rappresenta non solo per il popolo ebraico, ma anche per il popolo tedesco: «Chi muterà questa colpa orribile in una benedizione per entrambe le stirpi? Solo chi non permetterà a queste piaghe aperte dell'odio di generare altro odio». Il 12 aprile 1933 scrive a Pio XI per chiedergli di non tacere, ma proprio di lì a qualche mese sarà ratificato il Concordato fra Vaticano e il governo nazista. Il papa poco dopo pubblicherà l'enciclica Mit brennender Sorge (Con viva angoscia), in cui, anche se non in modo esplicito, condanna il nazismo. La Chiesa invece, come sappiamo, prende subito una chiara posizione di condanna nei confronti dei regimi comunisti, assumendo una funzione dinamica per il crollo degli stessi soprattutto durante il pontificato di Giovanni Paolo II. Jerzy Popieluszko, che, a partire dal 1982, celebrava a Varsavia con grande affluenza di popolo, soprattutto di operai, le messe per la patria, diviene testimone di una Chiesa al fianco «di coloro che sono privi di libertà, di quelli le cui coscienze vengono infrante». In una delle tante omelie afferma: «non svendiamo il nostro ideale per un piatto di lenticchie» e invita a sperare dicendo che il cambiamento dipende «da noi tutti, dalla nostra sollecitudine per i nostri fratelli innocenti, imprigionati, dalla nostra vita vissuta ogni giorno nella verità».

Anche oggi stiamo attraversando un tempo di marosi. Dalla fine della seconda guerra mondiale, forse per la prima volta, ci stiamo rendendo conto di tornare indietro, come se i valori acquisiti così a caro prezzo, fossero stati ingoiati dalla furia di un vento contrario che allo stesso tempo sta spazzando via anche le illusioni, lasciando tutti in preda all'ansia e alla paura del futuro. Gli enormi abusi dell'ingiustia sono messi a nudo, ma di fronte a contraddizioni insanabili, all'annientamento di popoli ferocemente offesi nella dignità, non rimane che far leva sulla coscienza al fine di acconsentire a indietreggiare. La storia non si ferma, è come un fiume in piena, se non si corre ai ripari straripa. Bisogna fare un passo in dietro finché siamo ancora in tempo. Rinunciare a qualcosa, mettersi in discussione. Potere e abusi ritenuti diritti acquisiti inquietano e interrogano. Tutti siamo chiamati a rispondere, come a Ninive. L'Occidente si è abituato a un tenore eccessivo, lo stesso papa Francesco chiama a un nuovo stile di vita. Se tutta la popolazione mondiale dovesse vivere a questo livello sarebbero necessari diversi pianeti Terra. Manca la misura, l'abuso è grande. «Resistenza e resa», come per Bonhoeffer, chiedono fermezza nei valori, e resa dell'ego.  Per ogni donna e uomo di fede, non possono che voler dire resa a Dio e alla sua volontà, che non è certo quella di distruggere per punire, ma di far sì che l'umanità si converta e possa rimediare ai gravi effetti dell'ingiustizia. Se non c'è il passo indietro e il ravvedimento, ogni confronto porta allo scontro di interessi egoici contrastanti, le parole diventano bieco calcolo sempre più cinico e cieco. Siamo tutti conniventi di un sistema fino a che non ci poniamo in stato di resa. Solo facendo un passo indietro si può ritrovare la misura di un rapporto fra esseri umani senza più maschere, nudi. Quella occidentale è un'umanità viziata, prigioniera di troppi bisogni indotti, decadente. Lo spettro dei poteri forti insorge quando l'egoico si erge a idolo facendo credere di poter risolvere le contraddizioni del mondo. L'onnipotenza è il più grande pericolo e riemerge proprio dal senso di massima impotenza, quando tutti si lasciano prendere dalla paura e tendono a innalzare chi grida più forte promettendo la risoluzione di tutti i mali. È nel momento di massima cecità che la menzogna impera e seduce i derelitti facendo credere loro che sia sorto un salvatore sulla terra, che però è solo un imbonitore. Quando il pericolo incombe «resistenza e resa» divengono le sole parole che parlano ancora. Resa a Dio e resistenza alle seduzioni dell'inganno affidandosi alla luce dello Spirito santo. Questa è la resa che, come afferma Bonhoeffer, «salva l'anima delle generazioni future».

Pubblicato sull’Osservatore Romano del 26 gennaio 2017

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