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Senza radicalismi

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La sola parola Amazzonia evoca ormai una gigantesca questione ambientale che va ben oltre i limiti regionali essendo trattata ormai come problema mondiale, cioè quello della progressiva deforestazione del più grande polmone verde del globo. Le ragioni della deforestazione sono da imputare come è noto all’estendersi sempre maggiore di aree destinate a uso produttivo remunerativo, principalmente l’allevamento di bestiame. Ed è altrettanto noto il pesante impatto ambientale determinato dagli allevamenti a scopo alimentare. Da qui la domanda se una maggiore attenzione verso il vegetarianesimo possa rappresentare una possibile soluzione al problema ecologico, intendendo per vegeterianesimo una riduzione equilibrata dei consumi di proteine animali, e non la proposizione di una dieta. E, conseguente a questa domanda, segue quella che chiede se possa darsi un punto di vista “cristiano” sul giusto e sobrio mangiare. Su entrambe le domande si cimenta il teologo e filosofo della Pontificia università Gregoriana Paolo Trianni in un libretto intitolato appunto Per un vegetarianesimo cristiano (Edizioni Messaggero, Padova 2017, pagine 148, euro 11).

La natura, e anche gli animali, sono oggi diventati, come scriveva Martin Heidegger, un “fondo di magazzino”. L’allevamento industriale di carne rappresenta secondo molte fonti la causa principale della deforestazione, dell’inquinamento, dello sperpero di risorse idriche e agricole, del 64 per cento dell’ammoniaca responsabile delle piogge acide e dell’effetto serra. Per produrre un chilo di manzo si sprecano centomila litri d’acqua e si impiegano da dieci a trentacinque volte le risorse che servono per un chilo di proteine vegetali.

La Laudato si’, che ha segnato la svolta teologica della Chiesa sui temi della tutela del creato, non ha parlato direttamente di vegetarianesimo, e tuttavia all’interno del mondo cristiano sta rapidamente crescendo una sensibilità di questo tipo, come dimostra la nascita, nel 2017, a Prato, di un Centro studi cristiani vegetariani. In parte questa associazione compensa quelle varie critiche che denunciavano nel cristianesimo una «formidabile carenza di pensiero rispetto alla realtà animale». Ancora oggi, effettivamente, è possibile registrare una discrasia tra il grande interesse della società civile verso il vegetarianesimo e la ricerca teologica, che non può ignorarlo senza danno e si rivela ferma alla posizione di Tommaso per il quale era «lecito sopprimere le piante per l’uso degli animali e gli animali per l’uso dell’uomo».

È presumibile che il vegetarianesimo entrerà sempre più nell’agenda dei teologi, sia per gli effetti della crisi ecologica, sia in virtù dello sviluppo del diritto animale, sia per motivi pastorali, perché non sono pochi i cristiani che si sentono colpiti dalla presunta insensibilità della Chiesa verso la questione animale, ignari, ad esempio, che nel mondo anglosassone esiste fin dal Settecento una “teologia animale”. Nel suo saggio, però, l’autore va oltre quest’ultima e si chiede se sia possibile una teologia del vegetarianesimo, nonostante le evidenze contrarie del testo biblico. Trianni risponde positivamente, a patto che si usi un metodo adeguato (quello della comprensione oggettiva) e si adotti il principio dello sviluppo della dottrina. Egli sottolinea infatti che il vegetarianesimo non è un tema estraneo al cristianesimo perché la Bibbia narra una creazione inizialmente vegetariana (cfr. Genesi, 1, 29) e si chiude idealmente sempre con essa, quando il profeta Isaia prefigura un regno escatologico dove il lupo dimorerà con l’agnello (cfr. Isaia, 11, 1-9). Il passo fatidico di Genesi, 9, 3 dove si legge «Tutto quello che si muove e ha vita sarà vostro cibo: come già la verde erba, do a voi tutto», viene interpretato alla luce dei mutamenti conseguenti al peccato originale. Del resto questo discusso passo biblico è parimenti alla base di quell’antropocentrismo biblico che secondo alcuni autori, come Lynn White, sarebbe la causa principale dei disastri ambientali moderni. A questa accusa la teologia ha risposto con Jürgen Moltmann e, più di recente, lo ha fatto anche Papa Francesco nella sua enciclica ecologica.

3 PER UN VEGETARIANESIMO CRISTIANO copertina 300Una teologia del vegetarianesimo secondo Trianni è possibile e altrettanto lo è uno sviluppo della dottrina cristiana in tale direzione. Basterebbe intanto raccogliere lo stimolo di Papa Francesco a superare “il si è sempre fatto così”, e, dal momento che ci può essere un progresso della religione che si vuole incarnata nel presente, l’auspicio è che il vegetarianesimo possa essere uno di questi progressi.

D’altro canto non mancano esempi luminosi nella storia cristiana. Secondo Girolamo, santo vegetariano che è stato assai vicino a essere eletto Pontefice, il permesso a mangiare carne è stata una concessione «per la durezza del cuore». Lev Tolstoj lo considerava il primo gradino del Regno di Dio. Albert Schweitzer ne è stato uno dei grandi maestri con il suo motto del «rispetto per la vita». Karl Barth riconosceva che il vegetarianesimo è oggettivamente attinente alla pace escatologica, aggiungendo però che è «non richiesto». Tito Brandsma, carmelitano morto a Dachau, dedicò un intero volume alla sofferenza animale. La tradizione non violenta, con Capitini, Gandhi, Lanza del Vasto, è essenzialmente vegetariana, pur nella consapevolezza che una totale non-violenza animale non sarà mai possibile.

Molti ricordano, comunque, come anche Giovanni Paolo II, nel 1990, abbia affrontato il tema dell’anima degli animali, e come il Catechismo della Chiesa cattolica consideri contrario alla dignità umana farli soffrire inutilmente.

L’autore, comunque, ammonisce che è controproducente voler introdurre questa categoria nell’orizzonte del cristianesimo contemporaneo con una pessima teologia. È il caso dei molti saggi che ritraggono un Gesù vegetariano appoggiandosi a inattendibili testi apocrifi, forzando le scritture bibliche, o decontestualizzando certe affermazioni dei padri della Chiesa. Anche i radicalismi sono da escludere. Trianni, riprendendo una posizione già espressa da Paolo De Benedetti, fa una distinzione tra male e peccato, puntualizzando che mangiare carne non è certo e non sarà mai un peccato, ma può essere un male, almeno in alcuni casi. Significativo, ed esemplificativo di un certo clima culturale che si è creato, è il capitolo finale del volume, nel quale in ragione dei molti vegetariani che si dichiarano scandalizzati dal Gesù carnivoro, ci si sofferma su un’“apologia di Gesù”. Anche da quest’ultima preoccupazione si capisce perché una riflessione cristiana sul vegetarianesimo sia funzionale non soltanto alla salvaguardia del creato ma anche alla nuova evangelizzazione.

Recensione uscita il 19 ottobre 2019 su l’Osservatore Romano

 

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