Raimon Panikkar e il Buddismo di Nichiren Daishonin

Scritto da Alessandro D'Alessandro.

alessandrodalessandroDesidero, anzitutto, esprimere la mia gratitudine ai promotori e agli organizzatori di questo Convegno per avermi invitato in rappresentanza dell'Istituto Buddista Italiano Soka Gakkai e per aver programmato - a conclusione del Convegno stesso - una Tavola Rotonda per il dialogo interreligioso in sintonia col pensiero di Raimon Panikkar.

Un Convegno, dunque, che si caratterizza anche attraverso il contributo della filosofia interculturale, della teologia delle religioni e della esperienza religiosa di tradizioni diverse, dalle quali Panikkar ha ricevuto per molti decenni della sua vita alimento intellettuale e spirituale. D'altra parte il pensiero di Panikkar, durante il suo lungo percorso tra Occidente e Oriente, ha saputo costruire ponti tra culture e tradizioni religiose diverse, individuando molteplici legami e matrici comuni, lasciando in esse una grande quantità di intuizioni che tutti auspichiamo possano germogliare, portando buoni frutti.

Per quanto riguarda la partecipazione della Soka Gakkai italiana, permettetemi di ricordare che la recente firma dell'Intesa con lo Stato Italiano, a conclusione di un percorso lungo e  travagliato, è stata accolta e percepita dai membri dell'Istituto Buddista, anzitutto, come accrescimento di responsabilità, apertura fattiva ad ogni istanza della società civile, incentivo a testimoniare con sempre maggiore coerenza un Buddismo per la pace, la cultura e l'educazione, a stringere legami di amicizia e di cooperazione con tutte le componenti religiose attraverso un dialogo costruttivo e permanente.

L’Intesa rappresenta non solo il riconoscimento, per così dire, della piena ‘cittadinanza italiana’ per la SG ma anche un segnale significativo del riconoscimento istituzionale della ormai innegabile realtà interculturale e interreligiosa del nostro Paese. Una realtà che  chiede con urgenza di essere organizzata e realizzata in ogni ambito della società italiana attraverso la costruzione di una autentica laicità. Ma questa realtà richiede in primo luogo alle religioni di rinunciare al secolare paradigma della forza e del potere che esse stesse hanno contribuito a legittimare, integrandolo come norma riconosciuta nell'ambito del pensiero religioso e all'interno delle strutture portanti delle società in ogni parte del mondo. I cambiamenti, molto spesso drammatici, che oggi avvengono ovunque in maniera tumultuosa e lacerante impongono, soprattutto alle religioni, di abbandonare il criterio della competizione per l’egemonia e di operare in spirito di solidarietà e di cooperazione.

Permettetemi inoltre una breve nota personale. La mia conoscenza del pensiero di Panikkar è avvenuta fin dall'inizio non  attraverso la lettura dei suoi scritti ma mi è giunta, intorno alla metà degli anni ‘80, attraverso il filtro, molto spesso irruento e provocatorio, della predicazione di Padre Ernesto Balducci alla Badia Fiesolana, dove ho abitato per qualche anno. Dai dibattiti fiesolani con Balducci e dagli incontri con i monaci tibetani, che egli organizzava, si fece strada il mio interesse per il Buddismo di Nichiren Daishonin, che iniziai a praticare nel 1985.

I. Per prepararmi a questa Tavola Rotonda ho letto per la prima volta alcuni scritti di Panikkar e ho letto di nuovo Il silenzio del Budda. E' stata una lettura finalizzata soprattutto a individuare eventuali corrispondenze, concordanze o discordanze, analogie, punti di contatto o di distanza con il Buddismo di Nichiren e con l'interpretazione che dei suoi insegnamenti ha sviluppato nella sua vasta opera, per oltre cinquant’anni, D. Ikeda Presidente della Soka Gakkai Internazionale. Con mia grande sorpresa ho potuto constatare una profonda sintonia del pensiero di Panikkar con lo spirito e con la lettera degli scritti di Nichiren così come con numerosi aspetti fondamentali del pensiero di Ikeda. 

Ma oltre a questo devo dire che la mia lettura è stata anche l'occasione per una riflessione su alcuni aspetti  della mia pratica religiosa. Sento di poter affermare che molti testi di Panikkar mi hanno aiutato a comprendere sotto una luce nuova gli insegnamenti di Nichiren e oggi fanno parte integrante della mia esperienza religiosa.         

Vorrei comunque sottolineare che, a prescindere dalle eventuali concordanze o discordanze con qualsivoglia scuola o tradizione, il personale approccio di Panikkar al Buddismo possiede in quanto tale un valore intrinseco.            

Come traccia per una ricerca, che spero di poter realizzare prossimamente, ho provato a stendere un semplice indice degli argomenti intorno ai quali è possibile verificare non solo la presenza di eventuali concordanze o discordanze tra l'opera di Panikkar e gli scritti di Nichiren, ma anche in che misura l'interpretazione che Panikkar offre del Buddismo può contribuire alla comprensione del Buddismo di Nichiren, soprattutto in relazione ai grandi problemi della vita contemporanea. A questo scopo mi è parso di poter individuare tre componenti fondamentali del pensiero di Panikkar:

1. La prima riguarda il significato dell'a-teismo religioso che Panikkar attribuisce al Buddismo.

2. La seconda è la visione trinitaria e cosmoteandrica della realtà Cosmo-Dio-Uomo, come visione fondata sulla Relazione.

3. La terza è la ecosofia in quanto rapporto cosmoteandrico con la natura, teoria e prassi fondata sulla relazione/comunicazione, sulla non dualità di vita-ambiente e sulla interdipendenza di tutti i fenomeni.

Intorno e da questi tre caposaldi teorico-pratici si dispongono e si diramano, tra loro interconnessi, alcuni temi fondamentali:

1. Il Buddismo come soteriologia ed esperienza mistica per la salvezza individuale e cosmica. Valore e attualità del ruolo del Bodhisattva nel Sutra del Loto. Significato  e funzione del sacerdozio di Melchisedech.

2. La pratica della meditazione come elemento centrale della vita spirituale.

3. Sacralità, dignità e qualità della vita. Il significato di trascendenza e di immanenza.

4. Critica del monoteismo, dell'antropocentrismo e dell'eurocentrismo. Il mito della frattura tra Oriente e Occidente.

5. Pace, disarmo culturale e disarmo interiore. Priorità della metanoia o trasformazione personale, che Ikeda denomina Rivoluzione umana.

6. Pluralità delle vie e ruolo del dialogo interculturale e  interreligioso per la creazione di una etica simbiotica. Il potere terapeutico del dialogo per la guarigione spirituale.

7. La crisi della modernità nell'epoca nucleare, la costruzione di un “Nuovo Umanesimo” e di una Etica Globale, ai quali le religioni possono dare un contributo determinante.

II. Alla fine di questo scarno indice di ‘buoni propositi’ di ricerca, vorrei ora riprendere brevemente il discorso su alcuni temi, cui ho appena accennato e innanzitutto su quello del “silenzio del Budda” riguardo la Realtà Ultima e il complesso delle questioni metafisiche.

Come è noto, la posizione di Panikkar si distingue per acutezza e profondità da una parte, dall'altra, come avviene molto spesso nei suoi scritti, dischiude a sua volta tutta una serie di questioni che rendono questo tema ancora più complesso di come appare. In linea generale e in ultima istanza si può affermare che il silenzio del Budda sostiene la priorità della immanenza e della prassi che da essa discende.

Il Budda che tace sulle fondamentali questioni metafisiche non è prevalentemente definibile come agnostico o afasico, cinico o pragmatico, nichilista o apofatico, anti-intellettuale o sopra-intellettuale. Egli tace semplicemente perché non è possibile affermare niente al riguardo e questo silenzio è terapeutico in quanto provoca il silenzio di colui che domanda e ne placa l'angoscia del cercare. Non c'è assolutamente niente da dire non solo e non tanto perché la Realtà Ultima è inconoscibile e ineffabile attraverso gli strumenti conoscitivi umani, ma soprattutto perché essa non può essere identificata con l' Essere, semplicemente essa non è. Il nobile silenzio del Budda, il suo “messaggio silente” si può dunque, con le parole di Panikkar, formulare così:

“La realtà ultima è a tal punto ineffabile e trascendente che, a rigore, il buddhismo le negherà di conseguenza il carattere di Essere. L' Essere è ciò che è, ma ciò che è, per il fatto stesso di essere, è in qualche modo pensabile, comunicabile, appartiene all'ordine della manifestazione, dell'essere, e non può pertanto essere considerato come la realtà ultima stessa. (...) Il silenzio del Budda non è un silenzio metodologico né pedagogico, ma ontico e ontologico. Il suo silenzio non riguarda soltanto la risposta ma investe la domanda stessa. Non soltanto tace ma anche zittisce”.

Il Budda, dunque, desidera parlare, la sua voce ha svolto il lavoro proprio del Budda, ossia il dialogare, per oltre quarant’anni, ma egli ha voluto parlare soltanto “del cammino per giungere alla meta, non però della meta stessa, cioè dell'ultima e più eccelsa verità che è il nirvana”. La percezione della realtà ultima appartiene unicamente alla esperienza mistica personale di chi ogni giorno della sua vita aspira alla illuminazione, ossia a osservare e lucidare lo specchio della propria mente per percepire entro di essa la natura di Budda. In questa tensione perenne e mai appagata dell'essere umano verso L'Assoluto che è in lui consiste, a mio avviso, la profonda religiosità dell'a-teismo buddista. L'intuizione di Panikkar riguardo l'a-teismo religioso del Budda mette fine, a mio avviso, in modo radicale al lungo, fuorviante e purtroppo perdurante dibattito sul tema se il Buddismo sia una religione o una filosofia o qualcos'altro ancora.

In molti suoi scritti Nichiren Daishonin si esprime con molta chiarezza riguardo alla ineffabilità e incomunicabilità della realtà ultima. In quello che è uno dei suoi scritti più conosciuti, ossia “Il raggiungimento della buddità in questa esistenza”, scrive queste parole per spiegare il significato dei due ideogrammi MYO-HO:

“Cosa significa MYO? È semplicemente la misteriosa natura della nostra vita di momento in momento, che la mente non può comprendere e le parole non possono esprimere. (...). La vita è veramente una realtà inafferrabile che trascende sia le parole che i concetti della esistenza e della non-esistenza. Non è né esistenza né non-esistenza, e comunque ha le caratteristiche di ambedue. È la mistica entità della Via di Mezzo che è il vero aspetto di tutti i fenomeni. 'Myo' è il nome dato alla misteriosa natura della vita e 'ho' alle sue manifestazioni”.

Sul significato della “Via di mezzo” nel Buddismo Panikkar ha scritto: “La via di mezzo è veramente un cammino e un sentiero reale, proprio perché è, e vuole essere, via che porti alla realizzazione e non mera elucubrazione. (...) Essa consiste nel voler portare nulla fino all'estremo, perché qualsiasi assolutizzazione, anche quella del pensiero, sarebbe idolatria”. (...). La fede non è fondamentalmente un atto dell'intelletto, ma di tutta la persona umana. La formula perfetta e universale della fede non è “credo in Dio” ma “credo”, con cui si esprime una totale donazione, un puro atto di apertura”.

Scrive ancora Nichiren: “Anche se reciti e credi in MHRK, se pensi che la Legge sia al di fuori di te stai abbracciando non la Legge mistica ma qualche insegnamento imperfetto. (...). Il Sutra Jomyo afferma che l'illuminazione del Budda è da ricercarsi nella vita umana, mostrando così che i comuni mortali possono raggiungere la buddità e che le sofferenze di nascita e morte si possono trasformare in nirvana”.

Per Nichiren, dunque, così come per Shakyamuni, il piano dell'immanenza e della interiorità della coscienza è il solo piano accessibile alla mente umana e il solo che ‘comprende’ e rende intelligibile la trascendenza, che non è negata o rinviata alla fine del percorso terreno. Coesistono nel Buddismo di Nichiren tre componenti fondamentali della vita illuminata, strettamente connesse tra loro: il silenzio ontologico, la voce della prassi che trasforma e lo sguardo o visione che rendono intelligibile il vero aspetto di tutti i fenomeni.

Il “messaggio silente” del Budda pare, dunque, collocarsi sulla coordinata orizzontale di una ‘immanenza aperta’, porta obbligata attraverso la quale l'essere umano può percepire la dimensione trascendente della vita. Sul terreno dell'immanenza e della prassi, il solo pienamente accessibile all'uomo, si potrà acquistare la capacità di comprendere la “secolarità sacra”, ovvero la sacralità e la dignità della vita nella sua globalità. In quanto tale l'immanenza orienta l'essere umano verso obiettivi reali, non verso il pragmatismo ma verso la ortoprassi delle Quattro Nobili Verità.

Per questa strada si giunge al centro della spiritualità buddista e alla essenza stessa del Buddismo, racchiusa dalla tradizione mahayanica “in una sola parola - scrive Panikkar - parola difficile da tradurre e ancor più difficile da praticare: Mahakaruna, la grande compassione, patire insieme con tutte le cose che esistono, senza far discriminazioni di alcun tipo”. Condividere la sofferenza cosmica significa soprattutto farsene totalmente carico, assumerne la responsabilità e cercare una via per uscirne, perché questa via esiste. La ben nota metafora buddista della Rete di Indra raffigura attraverso una immagine di rara bellezza e di potente fascino la biodiversità, l'interdipendenza di tutti i fenomeni e la relazione simbiotica tra uomo, cosmo e divinità. La Rete di Indra è l'immagine cosmica del primato della coscienza relazionale che pervade e regola la vita universale.

In questo senso preciso ritengo che Panikkar abbia voluto saldare l'essenza del Buddismo con l'essenza della sua visione trinitaria e cosmoteandrica. La componente umana, quella cosmica e quella divina appaiono indissolubilmente coinvolte in un unico processo salvifico. Per il Bodisattva del Mahayana non può esserci salvezza alcuna, né liberazione, né emancipazione sociale se da questa corrente salvifica restano escluse non solo alcune componenti umane - quelle più deboli e indifese - ma la intera trama fisico-biologica che rende possibile la vita: la materia-madre (il grande utero della vita), le piante, gli animali, l'acqua, l'aria che tutti i viventi respirano. In questo senso la compassione non è solo l'essenza del buddismo; è anche l'energia spirituale, la tensione della fede che rende il cosmo teandrismo, oltre che una raffinata elaborazione intellettuale, soprattutto una prassi, uno stile di vita, una spiritualità e un'etica globale.

Da questa tensione compassionevole del Bodhisattva, che ha una dimensione cosmoteandrica, derivano la ricerca costante della propria riforma interiore, la costruzione della pace e il rifiuto della guerra, la costruzione di società giuste, l'atteggiamento perennemente dialogante, un'etica simbiotica e della responsabilità personale. Su tutti questi temi si è soffermato a  lungo Daisaku Ikeda nella sua Proposta di pace presentata all'ONU all'inizio di quest'anno.

Si tratta di contenuti e orientamenti che per la Soka Gakkai configurano la sostanza di una religione umanistica all'altezza delle grandi sfide del mondo contemporaneo. Un umanesimo, certo, non tradizionalmente antropocentrico ma piuttosto biocentrico, fondato sul primato della coscienza umana da cui discende l'etica della responsabilità globale.

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