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La politica e la morale

profughi siriani

Quando, alcuni giorni fa in questo periodo convulso, Angela Merkel ha aperto le frontiere ai profughi siriani, si è meritata sui giornali il titolo di leader morale dell’Europa. La cosa merita un’attenta riflessione.

 

In generale non si può non constatare che l’incontenibile afflusso di profughi attraverso il Mediterraneo e ora i Balcani interpella l’Europa rispetto ai suoi fondamenti, ovvero i valori che la ispirano. Il che pone subito il problema del rapporto tra quel piano, che si può senz’altro definire morale, e quello delle decisioni politiche. In una cultura che si considera laica, ma anche in molte culture religiose, tra cui quella cristiana, i due piani non coincidono. In epoca moderna è stata anzi teorizzata la separazione: la gestione del potere seguirebbe una logica che non può essere quella a cui è chiamata la coscienza personale.

È ben noto a quali conseguenze abbia portato la separazione: ci si è sentiti autorizzati ad azioni incompatibili con ogni giustizia e umanità. Il fatto che la cosa fosse intimamente inaccettabile è peraltro dimostrato dal fatto che, per giustificarla, i poteri costituiti si siano sentiti in obbligo di produrre una morale propria, in sostituzione di quella condivisa. Sono così nate le moderne ideologie, con la funzione di mostrare che il male in fondo è bene, perché giustificato da un fine superiore. Non è superfluo ricordare a cosa, nel Novecento soprattutto, ciò abbia portato. Ma se un senso ha l’infamia che su certe esperienze storiche è ricaduta, al di là del prevalere di alcuni poteri su altri, di ciò si tratta: della consapevolezza che la sfera del potere non può essere indipendente da quella in cui spontaneamente le persone distinguono il bene dal male.     

Tutto ciò autorizza un pensiero non difficile da capire. Tra politica e morale non può esserci coincidenza, ma la seconda, pur non potendo pienamente rispecchiare la prima, deve cercare di non essere in contrasto con essa: quanto più possibile dovrebbe anzi tradurne in pratica i principi.

Questo è in fondo il senso della democrazia. Il popolo sovrano non va inteso solo come maggioranza, perché una maggioranza può senz’altro prendere decisioni sbagliate, da cui scaturiranno conseguenze rovinose. Bisogna pensare invece al popolo come comunità vivente, in cui il bene e il male sempre si confrontano né più né meno che nella coscienza personale; che prende le giuste decisioni solo se riconosce i principi che in profondità dirigono la vita collettiva.

I politici, in democrazia, ovvero coloro che amministrano il potere su mandato del popolo sovrano, hanno un duplice compito. Devono senz’altro ottenere il consenso dei più, perché se così non fosse la loro azione sarebbe inefficace, e saperlo orientare su soluzioni concretamente praticabili; ma imprescindibile è che il consenso sia basato non su pulsioni effimere e distruttive, bensì su sentimenti autentici, che custodiscano davvero la collettività anche aprendole, in certi casi, orizzonti nuovi. Quando così è stato, le maggioranze hanno capito e si sono mobilitate, sapendo anche affrontare grandi sacrifici. Quando così non è, è perché non si sa trovare la via della semplicità e della franchezza, oppure non è limpido il proprio ruolo.

 

Tornando ai profughi, senz’altro alla collettività intera si richiede una scelta non facile. Ciascuno è posto di fronte a se stesso, ai moventi che lo guidano. Se l’accoglienza fosse a buon mercato, non sarebbe così grande il suo merito presso ogni cultura. Non sarebbero, in ogni epoca e contesto, così stimate le persone generose, che sanno uscire dal timore e compiere un atto di fiducia, venendo incontro al bisogno altrui.

D’altra parte il timore ha una sua ragion d’essere, va ascoltato e va capito. La sfiducia rimanda al rapporto, da noi spesso precario, con la collettività e le strutture che la organizzano. Cosa si teme, nel nostro caso? Più ancora di altro, che non siano chiare le prospettive; che chi dirige non abbia un progetto, e quindi non stia dirigendo affatto.

Ecco il ruolo della politica.

 

Chi dice che non bisogna accogliere, dovrebbe riflettere sul fatto che, se fosse lui a governare, non potrebbe arrestare un fenomeno in larga misura inarginabile. Dovrebbe inevitabilmente cercare soluzioni.

Chi di ciò ha preso atto, ha il dovere di adoperarsi in ogni modo affinché le soluzioni siano reali.

Il giudizio sul gesto della Merkel non cambia pensando che non le sia estraneo un calcolo, perché la classe media della Siria può efficacemente contribuire al sistema economico tedesco. Non cambia perché così un politico deve fare: prendere decisioni il più possibile in accordo coi principi morali, e al tempo stesso di vantaggio per la collettività. Non sempre le due esigenze sono così chiaramente conciliabili, da cui l’inevitabile imperfezione della politica; ma in alcuni casi bisogna aver fiducia che un atto di coraggio può generare frutti più copiosi del previsto.

 

Si dirà che l’Italia non è la Germania, e che le folle di Africani che si riversano sulle nostre coste hanno caratteristiche diverse dai Siriani che mirano all’Europa centrale e settentrionale.

Il problema però è lo stesso: trasformare uno stato di necessità in occasione, per affrontare nodi che da tempo andavano affrontati.

Occorre un grande sforzo: politico, sociale e culturale. Occorre chiamare a raccolta tutte le forze disponibili, che potrebbero esser più di quanto non si immagina. In Piemonte un ordine del giorno del Consiglio Regionale sembra suggerire una precisa direzione.

Un ruolo significativo sono chiamate a esercitarlo le comunità religiose, che costituiscono parte essenziale del tessuto delle nostre società.

Come noto Papa Francesco ha impegnato nell’accoglienza ai profughi tutte le parrocchie d’Europa. Al tempo stesso ha pubblicato un’enciclica, dal titolo Laudato si’, che può essere di riferimento per  un’azione sociale condivisibile da ogni tradizione.

Per questo a Torino abbiamo proposto, il 2 ottobre, di cominciare a confrontarci con quel testo in una prospettiva interculturale.

Il convegno è promosso, insieme al Comitato per i Diritti Umani del Consiglio Regionale del Piemonte, da quell’ampio movimento interculturale e interreligioso che promosse la manifestazione del 10 giugno in solidarietà con le vittime della persecuzione religiosa, che da quella circostanza ha assunto il nome di Noi siamo con voi. Si veda la pagina Facebook https://www.facebook.com/noisiamoconvoi?notif_t=page_fan

Il 2 ottobre, nella data che ricorda la nascita di Gandhi, può essere l’inizio di un importante impegno comune. 

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