Nel mare e nella luce

 

 

 

 

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Diario di viaggio. 30 settembre

È giunto davvero il momento di partire.
Si potrà immaginare che, quando un evento di questo tipo è così tanto atteso - desiderato e temuto insieme -, fino a quando quel momento sia davvero giunto non si è certi se avverrà o meno. Ed è saggio stare fermi, lasciando che, se deve essere, ci venga incontro e ci porti con sé. E così è stato. Con naturalezza, dolcemente.
Ma andiamo con ordine.

La mattina c'è stata la conferenza stampa. Per la prima volta ho indossato l'abito monastico, e per la prima volta i miei compagni mi hanno visto per quel che avevo detto di essere - ma in questo caso il simbolo visibile val ben più delle parole.
C'erano molti giornalisti, forse più di testate locali, ma non ho dubbi che quel che è stato detto rimbalzerà attraverso la rete.

Rispetto all'impostazione più politica degli altri interventi, quando mi è stata data la parola ho toccato altri tasti.
Ho detto di quel che comporta l'abito che indosso, del mio intendere questo percorso che compio come anche cristiano, del rapporto profondo col mondo islamico e con quello ebraico; che su quest'ultimo, mentre Gaza viene inesorabilmente distrutta, si abbatte una catastrofe morale che richiede particolare vicinanza; e che è per compassione e amore verso tutto ciò che ho sentito di dover essere qua. E anche ho detto di questo nascente movimento di Torino, che ha esordito nel palazzo del Comune, all'insegna di "Mai più per nessuno"...
Non volevo spostare l'asse della conferenza stampa, e non c'è stato tempo per riprendere quel che avevo detto; ma sicuramente c'è stato interesse e simpatia, e penso sia un buon seme...

Poi, davvero, nel primo pomeriggio, le interminabili operazioni di accesso per l'imbarco.
I tempi dilatati lasciavano tutto l'agio per pensare, e per guardare, per ascoltare, per scrutare i sentimenti...

Si dice che partire è un po' morire, e io ricordavo al telefono a mio figlio quanto abbia sempre patito i viaggi, al punto da essere paradossalmente più sereno proprio adesso... In ogni caso, mentre camminavo coi bagagli lungo la banchina, pensavo a quanti dettagli avessi nella fretta trascurato. E mi affiorava un pensiero che già più volte mi ha visitato: il giorno che ci renderemo conto, di lì a poco, di dover morire, la mente correrà a quanto lasciamo in sospeso, senza poterlo portare a termine. E ce ne andremo con un senso di incompletezza...
Ecco, questo pensavo, avvicinandomi alla nave, attraverso i vari controlli a cui venivamo sottoposti. Era l'inevitabile paura ad affiorare, nel momento di fare il passo decisivo, mentre consolavo al telefono la mia nipotina ormai adolescente e tanto amata, ricordando quel che dobbiamo fare insieme al mio ritorno?

Poi è accaduto, come ormai mi accade spesso, da quando almeno ho scoperto la passione per la fotografia, di alzare gli occhi al cielo: e ho visto, tra le nubi anche oscure, discendere fasci di luce. E ho colto questo come una benedizione che stava scendendo su di noi.
E ho provato grande felicità.
E sono salito sulla nave con questa luce e questa benedizione.

Saliti tutti a bordo, al cancello che separava la banchina di imbarco vedevo in lontananza molta gente, e a un certo punto ho sentito un suono come di banda.
E poi il cancello si è aperto, e la gente è venuta avanti, e c'era davvero una banda che suonava, e io guardavo e ascoltavo commosso. Benedetta davvero questa terra del Salento, che sa ancora creare una festa di popolo per chi parte verso la Palestina, con quel che evidentemente ciò significa - per quel che è riuscito a inserirsi nella memoria storica di questa gente, nel suo legame tenace con un senso della comunità che si vuole considerare un residuo del passato...

E la banda suonava "Bella ciao", che evidentemente ha assunto un significato internazionale, e infatti insieme alle bandiere della Palestina c'era quella dell'ANPI; ma non importa: qualunque cosa avessero suonato, sarebbe stata la musica dell'umanità...

E così, mentre dalla nave e da terra ci si salutava con calore, la nave si è mossa. Ed è così che siamo partiti.
Mentre il molo si allontanava, sulla nave una donna intonava un canto: non so se fosse palestinese, ma anche questo era un canto che veniva dalle viscere dell'umano...

È così che abbiamo preso il largo, mentre, insieme alla Guardia di Finanza, ci scortava per un tratto un'imbarcazione con la bandiera palestinese. Ed è stato questo l'ultimo saluto.
Poi c'è stato solo il mare. O meglio, il mare e il cielo, mentre la linea della terra si faceva lontana.
E il cielo, che nel frattempo era andato rasserenandosi, non risparmiava cascate di luce.
È così che ci siamo inoltrati nel mare, accompagnati dalla luce.

 

 

 

 

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