
Diario di viaggio. 28 settembre
Domenica. Training di formazione.
Gli aspetti giuridici e medici. Cose importanti, certo, se si intraprende un'impresa di questo tipo. Che proiettano l'immaginazione in quello che potrà accadere...
E poi gli aspetti più propriamente politici, di cui tenere conto nella comunicazione: quello che dovrebbe più direttamente interessarmi. Già, perché, nella mia ammissione a questa spedizione, sono stato presentato, oltre che come monaco, come filosofo, scrittore e anche giornalista.
Lì per lì questa sovrabbondanza di qualifiche mi è parsa eccessiva e messo in imbarazzo, ma poi, pensandoci, è subentrata una maggiore serietà.
Il mio compagno di stanza, di cui per il momento non dirò altro, aveva a colazione scritto sul bage "press", e ho avuto la cattiva idea di osservare che pareva indicare un bersaglio, e lui mi ha raggelato rispondendo: sono l'unico fra tutti i miei amici a essere ancora in vita.
In ogni modo quello che potrò comunicare sarà in uno stile un po' particolare.
Mi interessano le idee, ma più ancora le persone. Vorrei dire, sia pure con pochi cenni, delle storie personali, e far emergere le idee da quelle. E ovviamente narrare la mia storia, che è quello che in fondo onestamente possiamo fare.
Se sono qui non è semplicemente per seguire un'idea, ma per qualcosa di più complesso, che però si può anche dire nel modo più semplice: ci sono per amore.
Le idee possono anche uccidere, ed è accaduto tante volte, anche con le migliori. L'amore non ha mai fatto del male a nessuno. Quando sembra che questo accada, significa che altro ha preso il sopravvento.
Pensiamo a parole come genocidio, o anche colonialismo: parole dure, che implicano un giudizio inappellabile.
Il mio primo impulso sarebbe di non usarle, perché mi sembra che si abbattano impietosamente su persone a cui voglio bene, implicate in storie che hanno ragioni umane e storiche per leggere diversamente. Eppure c'è un senso in ogni cosa, e offrirò un pensiero che stamattina si è fatto strada in me.
Nella compagnia internazionale in cui mi trovo, con seria difficoltà per il mio pessimo inglese, stamane ha preso la parola una giovane donna canadese, dichiarando le sue origini native. E qui si è aperto uno scenario non certo sconosciuto, e che sarebbe anche ovvio collegare alla vicenda attuale.
Ciò di cui Israele è accusato a maggior ragione andrebbe infatti riferito a quel che è avvenuto nelle Americhe, nel Nord in particolare: tutto un mondo sommerso e cancellato. La genesi di intere nazioni, come ci pare ovvio considerarle, in primo luogo gli Stati Uniti d'America, è connesso con lo sterminio di precedenti ernie.
È cosa abbastanza nota, anche se non è questo l'elemento che viene innanzitutto preso in considerazione. Ma molto più incisivo è sentirlo dire qui, con voce commossa, da qualcuno che ha scelto come propria identità la memoria di quello che davvero considera il suo popolo. E fa pensare...
Qua tutto fa riferimento ai palestinesi. C'è da un lato l'idea di essere al loro fianco, senza sostituirsi a loro; neppure essere coloro che li aiutano, perché si aiutano da soli, ma essere accanto a loro. Dall'altro lato invece, in apparente contrasto, "siamo tutti palestinesi".
La Palestina è diventata un simbolo universale, in cui si condensano le sofferenze di tanti altri popoli. Ed ecco che il colonialismo e il genocidio diventano una chiave di lettura della storia, quanto meno di quella parte in cui la civiltà occidentale si è protesa a estendere il suo dominio sul'intero globo, pretendendo che la propria storia cancellasse quella altrui.
Ecco, la Palestina diventa simbolo di ciò. E sostenerla diventa un atto di riparazione - e anche un pellegrinaggio penitente attraverso gli orrori della vicenda umana.
Ben lontana è l'immagine che dei palestinesi si è voluto dare - l'immagine di terroristi. La resistenza palestinese è la resistenza in fondo nonviolenta, di chi non si piega, e presenta la propria sofferenza di fronte alla coscienza mondiale anche a nome di tutti i popoli che si è voluto distruggere.
Ecco, sostenere la Palestina vuol dire questo.
E mi si presenta un'immagine grandiosa.
La profonda intuizione di un caro amico ha condotto ad accostare la Flotilla all'Arca. E capisco bene adesso che sia così.
Chiedendo all'opinione pubblica mondiale che si interrompa questo genocidio, queste imbarcazioni portano con sé la memoria vivente di tutti i popoli che sono stati cancellati dal diluvio della storia, come se in questo modo fosse salvaguardata nella coscienza dell'umanità. E queste persone di ogni età e provenienza che sono salite e saliranno a bordo, ciascuna con la propria storia e le proprie contraddizioni, sono state chiamate a questo compito, e io mi sento onorato di essere tra loro.
E quelle parole così dure acquistano a questo punto una malinconica dolcezza.
Rimangono certo accuse, ed è giusto che ciascuno si assuma la responsabilità che gli compete; ma sono più ancora uno sguardo compassionevole sull'intera vicenda umana; che sa vedere nell'umanità quel che è più prezioso e che la salva da se stessa.
