
GAZA E NOI
I
Fa discutere un intervento di Alessandro Baricco, intitolato Gaza, sulla sua pagina di Facebook del 9 ottobre. Stimolante, perché affronta il problema del senso epocale espresso dall’insurrezione del mondo giovanile, a fronte degli avvenimenti di Gaza e a fronte delle censure e a fronte degli equivoci ancora legati al vecchio mondo delle ideologie.
“..bisogna ammettere che quei ragazzi erano un quarto d’ora davanti a tutti: e adesso è molto, davvero molto importante capire in cosa hanno anticipato gli altri, e qual è il salto concettuale che hanno fatto con una velocità di cui nessun altro è stato capace”.
In cosa consiste dunque, secondo Baricco, il salto concettuale espresso da manifestazioni trascinatrici di masse enormi, e popolate da giovani che le cronache avevano sempre continuato a descrivere come letargici e avulsi da ogni interesse al di là della propria pelle?
“C’è una falda, e noi ci abitiamo giusto sopra. Da una parte la terra emersa del Novecento, con i suoi valori, i suoi principi e la sua storia tragica. E dall’altra un continente, ancora spesso sommerso, che sta staccandosi dal Novecento, spinto della rivoluzione digitale, motivato dal disprezzo per gli orrori passati e diretto da un’intelligenza di tipo nuovo. Dove si consuma la frattura, la terra trema. Il Novecento non cede, e il nuovo continente continua a strappare. Non nutrirei grandi dubbi su come andrà a finire: il Novecento andrà alla deriva, continente quasi inabitato, destinato ad essere studiato nei libri e nei musei”.
Ancora una volta si è commesso l’errore di imputare alle fasce giovanili disinteresse e cadute, che dovevano essere imputate semmai alle classi che le hanno precedute (sessantottine e non sessantottine), ree se non altro di un fallimento pedagogico.
Ma quel che conta invece è, scrive Baricco, l’imponenza del risveglio giovanile davanti alle immagini di Gaza.
“Allora, d’istinto, si è sentito che c’era una sola linea, in realtà, ed era quella tracciata dalla falda su cui stiamo in bilico. Un mondo morente, da una parte, un nuovo continente, dall’altra. È sembrato urgente dire da che parte stavamo. E Gaza ci ha aiutato a farlo, perché è una sintesi rovente, chiarissima, di una spaccatura enorme – è dove un intero terremoto trema una volta sola, in un solo posto, in un solo momento”.
Fa notare Baricco, con acume, ricalcando forme di pensiero a tutti ben note, che questo nuovo secolo si è avventurato in una terra sconosciuta, imprevedibile, tanto che
“Molti, nel prendere partito, si sono schierati dalla parte del continente che si sta staccando. Ancora una volta mi piace chiarire un concetto che mi sembra prezioso. Nulla ci garantisce che la civiltà che stiamo costruendo sarà, alla resa dei conti, migliore di quella che l’ha preceduta: ma possiamo dire con una certa sicurezza che è nata per smantellare gli schemi che hanno reso possibile il disastro del Novecento (due guerre mondiali, i campi di sterminio, la bomba atomica, la Guerra Fredda, l’epoca d’oro dei totalitarismi – voglio ricordare).
L’irruzione della rivoluzione digitale, secondo Baricco, avrebbe portato in sé anche questo mutamento di paradigmi.
Della cosiddetta rivoluzione digitale si può pensare quello che si vuole ma sarebbe sciocco non ammettere che, consapevolmente o meno, ha fatto saltare i bunker strutturali e culturali su cui il Novecento aveva potuto edificare il proprio disastro: attraverso il digitale abbiamo scelto un mondo immensamente più liquido, più trasparente, in cui muri e confini perdono di consistenza”.
Dunque la nuova consapevolezza, sostiene Baricco, consiste in una liquidità, che avrebbe portato a un abbattimento di muri (cioè di residue mentalità legate ai conflitti ancora novecenteschi), e ci ricorda che
“..stiamo già vivendo in un mondo diverso - con le nostre menti, coi nostri gesti quotidiani – un mondo diverso dove Gaza non è possibile”.
L’antitesi ormai è netta e cronologica, nel senso di un prima e un dopo Gaza.
“Ma resto convinto che la spinta centrale dell’adesione alla causa di Gaza sia costituita da una precisa scelta di campo su questa storia di due civiltà a confronto, che in Gaza si scontrano col massimo dell’evidenza”.
Un dubbio, solamente, rimane ancora, ed è dato dalla rilevanza di quella che egli chiama la tremenda resistenza del Novecento.
“un altro fenomeno che mi ha sorpreso e che avevo intravisto solo in parte: la tremenda resistenza del Novecento”.
Come fare allora? Baricco a questo punto ricorre alle sue risorse di scrittore.
“Di fatto, gli scontri di civiltà si decidono in buona parte sulla capacità di narrazione, cioè sull’efficacia con cui alcuni riescono a convertire una nebulosa di fatti in una storia convincente, e dunque in realtà”.
Dunque, secondo Baricco, la soluzione del problema è possibile e consiste nel sostituire una nuova “narrazione” (in senso comunicativo) a quella vecchia di ottant’anni, da lui bollata come una “desolante epica guerriera”.
E ricorda che
“nessuna di queste mosse è esente dal rischio di drammatici effetti collaterali: ma se le abbiamo fatte è per una ragione che non dobbiamo mai perdere di vista:
ci è sembrato urgente provare a vivere in modo diverso, per non morire nello stesso modo dei padri.
E ci era chiaro che il cuore della faccenda era proprio lì dove guerra, violenza e armi formavano un gorgo primitivo di cui volevamo cancellare ogni traccia”.
E questa nuova narrazione dovrebbe passare attraverso la rivoluzione digitale, non senza qualche avvertimento.
“Vorrei essere chiaro: non significa consegnarsi ciecamente alla civiltà digitale, significa usarla per sfilarsi via per sempre dai nostri errori”.
II
Non mi propongo di analizzare l’intero scritto, di cui ho riportato i principali passaggi, ma vorrei limitarmi a fare una considerazione generale. Il suo merito, a mio avviso, è quello di aver colto la portata storica decisiva degli eventi che oggi si riassumono nella stessa parola: Gaza. Essa suonerà d’ora innanzi come Auschwitz, come Dresda, come Hiroshima, come Solovki e Kolyma, come Katyn; e, come Yalta, come Versailles; tutti nomi che non dicono solamente un determinato evento storico, ma (tutti insieme) un punto d’arrivo e quello di partenza di una fase della civiltà umana. Sono divenuti simboli.
Baricco sostiene che Gaza d’ora in poi segnerà il punto d’arrivo e quello di partenza della storia contemporanea. E, come quegli altri nomi della prima metà del Novecento hanno segnato il destino dell’umanità per la durata di quasi un secolo, e riassumevano anche il senso di tutta la storia dell’umanità precedente – poiché ogni epoca porta con sé anche il senso di tutta la storia – così il nome di Gaza ora rappresenta il nostro prossimo futuro, che – dice Baricco – è stato intuìto e preteso prima di tutti gli altri dalla popolazione giovanile.
Per dare contenuto reale a questa tesi, Baricco in quanto scrittore ricorre alla rivoluzione digitale e alla liquidità, a suo dire portatrici del disfacimento del tessuto narrativo, ovvero ideologico-comunicativo, che ha dominato dall’epoca delle guerre mondiali fino a oggi.
Quale sia la trama narrativa dell’ultimo mezzo secolo (prima di Gaza) è noto: che fra il 1914 e il 1945 il bene e il male (assoluto) si sono affrontati e il bene ha vinto, anzi trionfato.
Il primo era espresso dalla “democrazia” (atlantica o sovietica), il secondo dal ”fascismo”. I modelli di quella erano gli Usa e la Urss. Ogni traccia del secondo venne liquidata in tutti i sensi (tranne un uso solamente più metaforico per bollare alcune forme di governo militari o dittature personali).
L’equilibrio dei due grandi “blocchi” – ma garantito dal “terrore” nucleare – rappresentò il nuovo ordine mondiale, la cui sacralizzazione si espresse nella Carta dell’Onu: della quale la nascita di Israele divenne, in un certo senso, il “vangelo” vivente. Israele infatti rappresentò una sorta di “coscienza purificata” della ragione che aveva sconfitto il “male”. E infine anche un immenso alibi. Non sto qui a elencare i fatti e i misfatti dei cinque Paesi che nel corso degli ultimi ottant’anni sedettero nel Consiglio di sicurezza dell’Onu. E quelli di Israele.
Gaza, oggi, però è diventata sinonimo di sterminio e di genocidio. Questo dice Baricco: non basteranno gli sforzi di rimozione dei benpensanti a contrastare la portata di questo crollo di paradigmi, e nemmeno l’ancor incerto piano di pace. E resta il fatto che tali eventi hanno completamente oscurato quella coscienza purificata che Israele doveva rappresentare: e non solo come “chiave simbolica” di un “ordine” internazionale, ma della stessa coscienza umana come coscienza storica del XX secolo.
Di questo, consapevole o no, parla Baricco quando ripete che Gaza ha separato da tutti noi l’intero Novecento: noi e i paradigmi ideologici appartenuti alla sua logica (Baricco direbbe “alla narrazione”): l’antifascismo, la democrazia occidentale, il comunismo. Sono affondate anche tutte le organizzazioni internazionali, come l’Onu o la Corte internazionale, umiliate esplicitamente dagli stessi attori della scena mondiale, Netanyahu, Trump e via dicendo.
…….
Baricco è convinto che complice di questo sfacelo sia la liquidità prodotta dalla diffusione delle tecnologie digitali – e parla quindi di una civiltà ancora tutta da inventare, facendo appello, mi pare, a un vago nichilismo ludico. La ritengo una conclusione evasiva. Infatti, curiosamente, egli accredita in parte persino il protagonismo di Trump, convinto di una sua
“inclinazione a interpretare la realtà con gli schemi formali del gioco, spostando su una superficie semplicemente ludica il baricentro delle cose e diffidando della profondità come codice di lettura del reale”
pur non mancando di mettere in guardia dai rischi di involuzione napoleonica insiti in tutte le rivoluzioni: poiché la sua (di Baricco) “rivoluzione narrativa” esclude ogni traccia di epica guerriera. E perciò si adopera a dichiarare il carattere incontrovertibile del crollo di paradigmi avvenuto:
“Ci basta un minimo di lucidità per capire come funziona l’animale morente e per questo nulla dovrebbe essere più lontano da noi che averne paura: una sola cosa dovremmo fare e avremmo la capacità di fare: finirlo”.
Ma il suo ricorso al nichilismo ludico e all’indifferenza oggettiva della tecnica che lo sostiene mi sembra invece che faccia affiorare una nuova utopia, un nuovo feticcio. Ancora un mito progressista?
Un grande scrittore a questo proposito scriveva:
«[Noi sappiamo] che il male si nasconde nell’umanità più profondamente di quanto non suppongano i medici-socialisti, che in nessuna organizzazione della società sfuggirete il male, che l’anima umana resterà sempre la stessa, che l’anormalità e il peccato derivano direttamente da essa e che, infine, le leggi dello spirito umano sono ignote alla scienza, così indeterminate e così misteriose che non ci sono e non ci possono essere ancora né medici né giudici definitivi, ma c’è Colui, il quale dice A me la vendetta, io farò ragione!». (F. Dostoevskij, Diario di uno scrittore, 1877).
Marcello Croce
