
Diario di viaggio. 6 ottobre
Mi scuso se questo mio diario ha conosciuto un'interruzione.
Come spesso avviene gli inizi sono tumultuosi, poi le cose prendono una certa forma ed entro quella si assesta la vita quotidiana.
C'è una regolarità, un ritmo, entro il quale trova posto quell'oscillare dei sentimenti che è nella normalità della vita quotidiana.
E così ammetto con franchezza che ai momenti esaltanti, che nella narrazione è inevitabile sottolineare, altri se ne aggiungono di maggior distacco, nei quali si fà anche strada la nostalgia di casa.
Si tratta di un'oscillazione che è in generale tipica della vita, come è normale che essa scorra entro un quadro di regolarità che tendiamo a riprodurre ovunque, anche nelle condizioni più estreme. Ed è così su questa nave: che offre una condizione ben più confortevole di quella consentita dalle piccole imbarcazioni a vela, così immediatamente esposte al tumulto dei marosi; ma per dormire e per i servizi igienici la situazione è a dir poco deplorevole.
Merita però osservare con quanta facilità ci si abitui a tutto, e son bastati pochi giorni perché a ciascuno paia ovvio stare qua, e questa nave sia ormai come una seconda casa.
A indurre a ciò è anche il fatto che il viaggio si prolunghi. Mentre sembrava che stessimo puntando velocemente su Gaza, e tutto si sarebbe consumato in pochi giorni, sabato chi è ai comandi della nave ha valutato che il carburante sia sufficiente a consentire di rallentare e aspettare le piccole imbarcazioni, che avevamo il giorno prima superato, della Thousand Madleens.
Suppongo si sia considerato, rispetto all'inevitabile intercettamento da parte israeliana, che sia ovviamente più efficace presentarsi tutti insieme che non isolatamente.
Si è insomma stabilito che solo l'8 ottobre si sarebbe entrati nella zona di pericolo.
E il rallentamento consente alla vita su questa nave di organizzarsi maggiormente, e alle diverse componenti di conoscersi meglio.
Paragonando questa nave all'Arca, si potrebbe osservare che si trova a bordo una rappresentanza significativa della società mondiale odierna. Le più diverse fasce di età, il maschile e il femminile, ma soprattutto il nord e il sud del mondo...
Non posso non tener conto che questa vicenda, di Israele e della Palestina, si inserisce in un quadro ben più ampio. È in atto, su vari fronti tra cui questo, una vera e propria guerra mondiale per la redistribuzione dei rapporti di potere planetari.
Noi occidentali in senso stretto - essenzialmente europei e nordamericani - siamo ormai solo un decimo della popolazione mondiale, e gli altri rivendicano la loro parte. Le cose assumono poi forme diversificate e imprevedibili, ma al fondo c'è questo dato.
E piacerebbe che una trasformazione di questa portata avvenisse pacificamente, ma purtroppo non è così.
Questa nostra Flotilla si trova al centro di tutto questo, contribuendo inaspettatamente a determinarlo; e ciò rende questa impresa così esaltante, ma certo ancor più pericolosa di quanto sarebbe già ovvio pensare.
La comunicazione ufficiale verte soprattutto sul particolare carico di medici e personale sanitario, oltre che di giornalisti: due categorie che a Gaza sono state particolarmente falcidiate. Più che portare generi alimentari, si porta questa volta soprattutto persone, scelte tra quelle che simbolicamente sono più importanti per la sopravvivenza di Gaza.
Naturalmente, siccome ben difficilmente sarà possibile raggiungere la destinazione, l'aspetto umanitario è in funzione di uno scopo più politico, che è il sostegno alla Palestina.
"Rompere il blocco" è non da oggi la parola d'ordine, a cui ora si affianca "fermare il genocidio". E il nome di questa nave, Conscience, intende richiamare il risveglio della coscienza dei popoli che affermano la loro autonomia dal dominio occidentale.
C'è una storia della decolonizzazione che abbraccia tutto il Novecento, con origini addirittura ottocentesche, che adesso è al suo culmine.
Israele e la Palestina sono sotto questo aspetto anch'essi simboli di un contrasto ben più ampio, pur essendo anche il suo momento forse più drammatico. Ed è comprensibile che tutto il sud del mondo sia con la Palestina, mentre l'occidente cerca ancora di arroccarsi a difesa di Israele - pur senza più alcuna granitica convinzione e lasciando emergere quelle linee di frattura che preludono a uno sfaldamento.
E in questa prospettiva gli occidentali che si sono qui imbarcati rappresentano la ricerca di un accordo, di una convivenza più equilibrata che è nell'ordine delle cose si realizzi.
Se si guarda soltanto alla sfera più ristretta dei rapporti di forza sul campo, non c'è alcuna possibilità che la Palestina vinca - già è incredibile che in mezzo alle rovine si continui a combattere. Se però lo sguardo si fa più penetrante, e considera le motivazioni profonde de cui gli uomini sono mossi, e poi si allarga a considerare le grandi forze mondiali nel loro tumultuoso sollevarsi, davvero il futuro è in bilico, se non forse già deciso. E questa navigazione potrà essere ricordata come emblema di tutto ciò.
E a me piace pensare che il simbolo venga colto nel suo senso più universale, quello che alla fine unisce tutti.
La coscienza non ha solo un significato politico, ma anche esistenziale e spirituale. È ciò che vi è di più tipicamente umano, che consente di navigare sulle sconfinate acque della vita. Insisto nel dire che questo nostro viaggio ha un significato spirituale, e le acque sono anche la pace infinita, che è al di là di ogni conflitto. Anche se allo stesso tempo ci troviamo a navigare sulle acque tempestose della storia.
Il rallentamento ha consentito alle imbarcazioni della Thousand Madleens di raggiungerci. Già si vedevano, con qualche inquietudine, le luci nella notte. Poi è da stamattina che ci volteggiando intorno, come uccelli intorno a un campanile. Quando si avvicinano, portano saluti e sorrisi. Allontanandosi, vengono a confondersi con la luminosità del mare. C'è qualcosa di delicato e lieve, come il sogno da cui la storia è attraversata.
