Dieci anni fa ci lasciava Ivan Illich: con molta parsimonia lo si va ricordando, a testimonianza della difficoltà nel fare i conti con la sua figura. Pochi come lui, si può ben dire, hanno goduto infatti di una così diffusa notorietà, essendo in fondo palesemente mal compresi. Come se avesse assunto su di sé un problema, portandolo alle estreme conseguenze, che nel Novecento ha travagliato le menti più sensibili: quello di chi si sente indotto a comunicare su ampia scala messaggi di cui al contempo presagisce un destino di reificazione e fraintendimento. E come se, avvertendo questo, si fosse imposto di rendere le sue parole tanto persuasive quanto inattendibili, come a lasciare il dubbio che quel che più importa sia altro da quel che è stato detto.
Si può scrivere di storia sociale con lo spirito della teologia negativa? Forse Ivan Illich lo ha fatto: a partire dall’opera che nel 1971 lo rese famoso, Descolarizzare la società, in cui provocatoriamente, sia pure in un tempo in cui la provocazione era doverosa, si scagliava contro il dogma laico dell’istruzione come mezzo insostituibile di promozione umana. La sua critica dell’istituzione scolastica, immediatamente allargata ad altri ambiti, innanzitutto quello medico, parve allora interno al movimento corrosivo di ogni convenzione tipico di quegli anni, e ancora oggi può leggersi come rappresentativa di quel clima. Nondimeno Ivan Illich non consentì mai di essere identificato in un progetto politico; e anche successivamente, quando i movimenti connessi all’ecologia e alla globalizzazione attingevano a piene mani alle sue analisi, trovò sempre il modo di stupire, facendosi trovare altrove rispetto a dove era plausibile cercarlo.
Un’altra zona di particolare sensibilità era per Ivan Illich la consapevolezza che non si può conoscere la realtà sociale dell’uomo odierno se non istituendo dei confronti con altre realtà, come in un gioco di specchi. Ciò spiega il senso della storia, almeno come lui la intendeva, e il titolo di un’opera tra le sue migliori è per l’appunto Nello specchio del passato. Spiega anche un riferimento costante del suo cammino, a partire dalle esperienze giovanili come sacerdote cattolico in America Latina: quello delle comunità tradizionali nella loro tenace resistenza ai processi di modernizzazione. Quel che esse ci mostrano, rispetto a un senso originario delle relazioni umane, che Illich chiama convivialità, consente una valutazione effettiva dei modi di vivere della moderna società industriale.
Resta da aggiungere che la cifra ultima del suo cammino, seppure per lo più nascosta, è religiosa, come il concetto di convivialità lascia chiaramente intuire. Una cifra che non a caso torna alla luce nel libro che raccoglie alcune conversazioni radiofoniche due anni prima di morire, dal titolo Pervertimento del cristianesimo. Vi si può trovare una sconvolgente lettura del senso del nostro tempo.