Buddhisti e Musulmani

Scritto da Interdependence.

Improvvisamente un nuovo fronte dell’odio religioso, nonché della “guerra mondiale a pezzi” in corso, rischia di aprirsi in Myanmar, la storica Birmania. In un Paese a maggioranza buddhista, protagonista negli scorsi anni di un’eroica resistenza nonviolenta che ha portato infine all’accantonamento del regime militare e a un governo democratico guidato dal Premio Nobel per la Pace Aung San Suu Kyi, è in atto una violenta repressione contro una minoranza di religione islamica – i Rohingya – che presumibilmente mira a espellerli dal Paese stesso.
La situazione in realtà è complessa e andrebbe analizzata con attenzione; ma in ogni caso il pericolo è grande, sia per le vittime innocenti sia per il significato simbolico che la vicenda riveste.
Ciò ha sicuramente indotto alcuni tra i principali leader buddhisti mondiali – da Thich Nhat Hanh al Dalai Lama a intervenire pubblicamente, richiamando i Buddhisti birmani ai principi pacifici e compassionevoli del Dharma. Ci riferiamo soprattutto a un importante appello a cui in Italia ha aderito l’Unione Buddhista Italiana. Un appello che contiene un prezioso insegnamento. Cioè operiamo davvero per la pace se siamo pronti a vedere non sempre solo la malvagità altrui, ma innanzitutto il danno che dalla nostra stessa parte si viene facendo - talora anche con motivazioni comprensibili, perché il torto e la ragione non si dividono così nettamente come vorremmo. È di quello che dovremmo assumerci la responsabilità.
In ogni caso, così come è giusto che, di fronte ad atti di violenza i cui autori dichiarano di agire in nome dell’Islam, i Musulmani siano richiesti non solo di condannarli, ma di operare in ogni modo affinché ne siano estirpate le radici, e di agire affinché nei Paesi in cui sono maggioranza siano tutelate le minoranze, è giusto che si agisca con rigore quando a essere minoranza perseguitata sono i Musulmani.

 

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