La verità nel pluralismo delle vie

In occasione del Natale, la festa che nella fede cristiana rappresenta, attraverso il mistero dell’Incarnazione, l’unione intima del divino e dell’umano, vogliamo innanzitutto rievocare il percorso svolto quest’anno, dedicato soprattutto a Raimon Panikkar ma anche a rivisitare l’orizzonte storico-epocale entro cui ci collochiamo: un orizzonte dischiuso vent’anni fa dalla fine dell’impero sovietico, cioè della grande illusione di edificare un’umanità emancipata da ogni tradizione religiosa, e anticipato profeticamente cinque anni prima dall’incontro interreligioso di Assisi.

Ebbene, un’ulteriore coincidenza significativa ci è fornita dal ventesimo anniversario della scomparsa di Luigi Pareyson, una delle grandi figure della filosofia del Novecento. In anni in cui tutt’altra atmosfera culturale era dominante, seppe riproporre la verità come presupposto ineludibile di ogni filosofia autentica, mostrando insieme il pluralismo irriducibile delle interpretazioni attraverso cui essa si manifesta. Quando, mutati gli scenari, la rinascita religiosa avrebbe ripresentato l’apertura all’Assoluto come base della convivenza umana, ma anche il pericolo di una sua riduzione entro visioni unilateralmente appropriative, un atteggiamento come quello di Pareyson si rivelò quanto mai fecondo e pacificatore.

In un convegno a Torino nel 2005, interno a un percorso da cui sarebbe nata la rivista Interdipendenza e poi l’associazione Interdependence, ci ponevamo il problema di una filosofia interculturale capace di orientare la coscienza del nostro tempo. Così dicevamo:

La civiltà occidentale si è spesso negli ultimi due secoli dibattuta nella morsa suicida della prassi, di volta in volta perseguita come salvazione del mondo, proiettando l’ombra della volontà di potenza come unica struttura dell’essere. Oggi è la stessa esperienza storica della conflittualità e della contraddizione a sollecitare un ritorno alle radici ontologiche dell’esistenza. Bisogna allora tornare a fare filosofia, cioè occuparsi dei principi, se si ambisce a una comunicazione universale, accettando e anzi benedicendo la differenziazione delle vie, che si rivelano vicendevolmente un comune e condivisibile obiettivo di verità. Una filosofia interculturale si impone, non per unificare e uniformare i pensieri, ma per riaprire la mente al fondamento comune delle identità e delle prassi.

Come quel convegno avrebbe testimoniato, il riferimento a Pareyson era, ed è, inevitabile.

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