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Un piano Marshall per gli USA?

AmericaAlla fine della seconda guerra mondiale per la prima volta nella storia le nazioni vincitrici pensarono di non chiedere i danni di guerra, come era stato fatto alla fine della precedente, ma di aiutare le nazioni in difficoltà.

Venne promossa un’imponente azione di aiuto e di solidarietà per superare le immense macerie fisiche e morali lasciate sul campo e negli animi.  Fu avviato dagli Usa, a partire dal 5 giugno 1947, un piano di aiuti definito “piano Marshall”, in memoria dell’economista inglese Alfred Marshall, che non aderì mai all’utilitarismo come principio etico.

 

Quegli anni furono contrassegnati da un principio di solidarietà che promosse uno sviluppo economico e sociale ricordato come golden age negli Usa e da noi come boom economico. Fino agli anni settanta quella spinta promosse valori sociali, uguaglianza e solidarietà e una grande creatività in tutti i settori artistici. Erano gli anni dell’american dream. Poi lentamente quella spinta creativa si spense per lasciare il passo a un utilitarismo senza limiti assunto come fine, che ha progressivamente indebolito la tenuta delle società .

La caduta del muro di Berlino, il 9 novembre del 1989, ha rappresentato la definitiva implosione dell’impero sovietico, incapace di guardarsi dentro ed adattarsi ad una storia che cambiava. Falliva il socialismo reale allo stesso modo in cui rischiano oggi l’implosione gli Usa, incapaci anche loro di capire i problemi di fondo che stanno minando la loro stabilità  in campo economico, finanziario  e sociale. 

All’epoca si diffuse l’idea che “fosse finita la storia” come qualche studioso americano aveva – improvvidamente e molto prematuramente – scritto ed enfatizzato, autorizzando l’idea che il sole si fosse fermato senza neppure l’ordine di Giosuè. Oggi, invece, siamo qui a prendere atto del fallimento completo di quel modello pseudo-culturale, che porta a suggerire l’idea di un piano Marshall per gli Usa.

 

Il principio dell’utile personale ha avuto nella finanza lo strumento più efficace per autodeterminarsi, l’economia reale si è subordinata alle esigenze della finanza dominante, ma alla fine la storia presenta sempre il conto.

Proviamo a ricostruire i fatti, i risultati e il loro equilibrio  estremamente precario.

 

Negli Stati Uniti la finanziarizzazione dell’economia reale e il mantra “creare valore per gli azionisti” hanno portato nei primi dieci anni del nuovo secolo a un processo di delocalizzazione che ha bruciato  il 31% dei posti di lavoro nel settore manifatturiero, con la perdita di quasi 6 milioni di posti di lavoro.

La percentuale di occupazione nel settore manifatturiero, oggi, supera di poco il 12 % del totale occupati (nelle regioni italiane del nord siamo oltre il 33 %); se a questi si levano gli occupati nel settore della armi la percentuale si abbassa ancora (nel 2003 le aziende americane avevano una quota di mercato mondiale del 27,7% oggi si avvicinano all’80%): riconvertire in parte un’economia di guerra in un’economia di pace non è per nulla facile, specie dal punto di vista  umano.  

La disoccupazione, oggi al 6,5%, viene mascherata tecnicamente dalla sottoccupazione, che unitamente alla prima arriva ad oltre il 25%.  Gran parte dei sottoccupati sono giovani che si sono laureati nelle business school grazie a prestiti bancari, che però oggi non sono in grado di rimborsare ( il loro debito supera i 1000 miliardi di dollari ). Di conseguenza la povertà riguarda oltre 50 milioni di persone e il 30 % dei giovani è sotto la soglia della povertà.

Il perseguimento del profitto sempre e comunque ha portato a una concentrazione di ricchezza senza pari nella storia americana: il  reddito dell’1% della fascia ricca corrisponde al 40% del reddito totale. La disuguaglianza ha disgregato la società, facendo esplodere patologie sociali  gravissime – mortalità infantile, gravidanze precoci, omicidi, abbandono scolastico, incarcerazione, consumo di droghe, disturbi mentali, povertà … – e gli antidepressivi , come il Prozac, sono tra i farmaci più venduti. Inoltre i 2/3 dei giovani sono inidonei alla leva, per motivi che vanno dall’obesità alla bassa cultura ai precedenti penali.

 

Il crollo del 2008 ha fatto innalzare bruscamente il debito pubblico per salvare le banche, e la Fed ha risposto ai danni della finanza con la finanza, emettendo una crescente massa monetaria che sempre più difficilmente trova contropartita con un corrispondente valore reale. Quanto vale il dollaro oggi realmente? L’aumento del Pil potrebbe dare un segnale, anche se, con l’attuale regime fiscale e redistributivo, ha un’utilità negativa perché arricchisce i ricchi ed impoverisce i poveri, ma i dati non sembrano seguire i desiderata. Nei due anni scorsi il suo incremento è stato favorito anche dalla rivalutazione dei beni pubblici, che però non si può fare tutto. Di sola finanza non si va lontano, perché la moneta non genera moneta.

 La ricerca della massimizzazione del reddito ha portato le multinazionali alla delocalizzazione delle imposte, conseguente a quella del lavoro, separando il capitale dal lavoro a scapito di quest’ultimo: è possibile pianificare una fiscalità prossima allo zero e lasciare fuori gli utili. La corporate tax al 35 % spinge le imprese alla ricerca di sedi fiscali più convenienti (in Irlanda la tassa è al 12,5%), così  le stime parlano di oltre 1000 miliardi all’anno di imposte incassate in meno.

Aumentare il debito non si può, variare le aliquote neanche, ma senza entrate si rischia di entrare in loop e di essere meno credibili sugli equilibri complessivi.

La Germania (confermata la tripla A) ha depositato presso la Fed 3400 tonnellate di oro, recentemente ne ha chiesto indietro 630 circa, ma per motivi di sicurezza ne avrà solo 34 , l’1% dei depositi; ai funzionari tedeschi sembra sia stato impedito di visionare, sempre per motivi di sicurezza, i loro depositi. Per contro, negli ultimi due anni sia la Russia che la Cina hanno fatto importanti operazioni di acquisto di oro. Per ragioni diverse e comprensibili, date le possibili sanzioni,  la Russia ha ritirato la liquidità presso le banche Usa. Dopo la riduzioni delle sanzioni, la Cina ha deciso di aumentare gli acquisti di petrolio iraniano, che ancora è pagato in dollari. Il sistema scricchiola ?

 

Forse  servirebbe davvero agli Usa una sorta di piano Marshall, ma all’inverso, per recuperare una solidità sociale ed economica che sia funzionale a permettere la tenuta di equilibri globali per il bene di tutti. Oggi, però, non c’è un solo soggetto con la forza di supportare questa condivisione.

La ricerca sarebbe facilitata se gli Usa provassero a mettere in discussione il loro modello socioculturale e a favorire un percorso di condivisione per il bene comune di tutti. È questo ciòche si augurano in tutto il mondo gli uomini di buona volontà.

 

 

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