Un più ampio respiro

Scritto da Gianfranco Testa.

pachamamaSi è celebrato nel mese di ottobre il Sinodo sull’Amazzonia.
La parola “sinodo” è un termine splendido, venuto dal greco, e vuol dire “cammino insieme”: la strada comune per discutere e discernere, cercando le risposte più giuste su un determinato tema.
Alla fine l’ascolto vicendevole e la ricerca condivisa, col consenso dei due terzi dei partecipanti, culmina in un documento che esprime il pensiero comune. È quanto avvenuto anche questa volta, e la maggioranza è stata così schiacciante da esprimere una volontà quasi unanime.
Il documento finale ha espresso infatti la volontà di una conversione da parte di tutti, anche di chi non vive né vivrà mai in Amazzonia, su diversi aspetti: pastorale, culturale, ecologico.

È risaputo che l’Amazzonia con le sue foreste costituisce il polmone del mondo ed è anche il luogo della maggiore biodiversità e il più ampio deposito di acqua dolce. In essa vivono circa tre milioni di indigeni: un numero minimo rispetto al totale degli abitanti del mondo, ma che contiene la ricchezza di più di trecentonovanta popoli e nazionalità, che si esprimono in trecentotrenta lingue.  
Ebbene, qual è l’apporto di queste persone, che secondo i consueti parametri non producono ricchezza e addirittura sembrano frenare lo sviluppo? Ma non è proprio la loro apparente inutilità a essere un richiamo alla nostra “civiltà” del benessere, dello sfruttamento e dello spreco?
È con il loro rapporto equilibrato e rispettoso con la natura che hanno saputo, per tutti noi, preservare la ricchezza della loro terra. Nella loro spiritualità si mostra infatti una fiducia che offre risposta ai temi della vita, della morte, della relazione tra le persone e con il tempo e con lo spazio.
È a una cultura come questa che ci dobbiamo avvicinare con “conversione”: che non è solo conoscenza ma rispetto e comprensione.
Non siamo chiamati a condividere le loro risposte, i loro miti e i loro cammini, ma a essere consapevoli che ci sono altri miti e altri cammini, che hanno validità per chi vive situazioni diverse dalle nostre.

Forse uno degli aspetti che durante il Sinodo più hanno richiamato l’attenzione dei mezzi di comunicazione, facendo tanto discutere, è quello dei simboli e dei rituali indigeni.  
Eppure mettersi nella stessa lunghezza d’onda con i popoli non richiede di vivere e sentire quello che le persone, celebrando i propri riti, vivono? Non si tratta di perdere la propria identità, ma di avere un più ampio respiro: lasciando che il fratello che ci è accanto ci introduca all’esperienza del cammino che nella vita lo sostiene.
Sotto questo aspetto l’amore per la terra, la Pachamama, la madre che ci ha nutrito durante la vita con i suoi frutti e le sue acque e ci accoglierà nell’abbraccio della morte, è il simbolo più profondo e universale, che supera i confini di questi popoli e raggiunge ogni coscienza umana.

La conversione sinodale è un passo importante per dire che, d’ora in poi, nulla deve essere formulato o affermato se non nella comunione delle donne e degli uomini, affinché sia espressione e impegno di tutti.

Questa è la speranza.

 

 

Padre Gianfranco Testa, fondatore dell’Università del perdono, è stato a lungo missionario in America Latina

Stampa