Guerra pace nonviolenza

guerra pace nonviolenzaPuò sembrare provocatorio parlare di nonviolenza come segno dei tempi, quando la cronaca odierna parla di stragi e il vocabolo ‘guerra’ risuona ovunque: una guerra di religione, per di più. Tuttavia, se occorre guardare oltre la cronaca e saper decifrare gli indizi di ciò che pare nascosto e sommerso, ma in realtà si muove, conviene partire dal messaggio di papa Francesco all’Angelus del 15 novembre 2015: “La strada della violenza e dell’odio non risolve i problemi dell’umanità e utilizzare il nome di Dio per giustificare questa strada è una bestemmia.” Tale affermazione è precisamente il punto d’arrivo del nostro libro, la tesi che sottostà a esso.

Cinquant’anni fa, mentre si apriva solennemente il Concilio Vaticano II convocato da Giovanni XXIII, l’umanità stava correndo il più grosso rischio per la propria sopravvivenza: la crisi dei missili a Cuba che portò a un passo dalla guerra nucleare. Anche allora sembrava che la disperazione e la follia stessero per prendere il sopravvento, però accadde qualcosa di inaspettato: chi non aveva mai smesso di credere nell’uomo e in Colui che lo ha creato, dispiegò il proprio lavoro per convincere i padri conciliari che era venuto il momento di proclamare al mondo intero che la nonviolenza poteva e doveva essere il nostro futuro. E’ per ricordare questa storia che Ilaria Ciriaci e io, due anonimi “persuasi” della bontà e dell’efficacia della nonviolenza, abbiamo avviato la ricerca che ci ha portato a riascoltare i protagonisti di quei giorni, sia di persona sia mediante i loro scritti, le loro lettere, i loro appelli, e abbiamo raccolto le risposte, i dubbi, i consensi di diversi teologi e vescovi da essi interpellati. Tramite i loro racconti è stato bello rivivere lo spirito e il clima di quel momento straordinario e riscontrare che, se il segno della storia da negativo mutò in positivo, fu grazie a donne e uomini che non perdettero la fiducia nel fatto che il cambiamento senza violenza fosse possibile.

Inizialmente il tema della pace non era previsto nell’agenda del Concilio Vaticano II: se il termine ‘nonviolenza’ vi ha fatto capolino, si dovette all’insistenza e alla pervicacia dei coniugi Jean Goss e Hildegarde Mayr, infaticabili “costruttori di pace” che, con un autentico esempio di fede capace di spostare le montagne, riuscirono a prendere contatti con vescovi e teologi e a radunare attorno a sé un gruppo di attivisti per la pace non solo cattolici, ma di tutte le chiese. La loro opera fu dura per gli ostacoli incontrati, ma ne risultarono una significativa apertura all’obiezione di coscienza e una revisione della teoria della “guerra giusta”: per quanto non fossero stati accolti tutti i punti che avevano suggerito, si trattò di un progresso significativo da cui è incominciato un cammino che continua tutt’ora.

La nostra indagine ha seguito l’evoluzione di questo processo attraverso le dichiarazioni, le prese di posizione, le campagne, le attività di movimenti nonviolenti che hanno visto una partecipazione sempre maggiore di cristiani di tutte le chiese. In questo percorso abbiamo mostrato come dal concetto di “guerra giusta”, ossia le giustificazioni etiche del ricorso alle armi, si sia passati alla ricerca di una “pace giusta”, ossia gli sforzi affinché la guerra sia bandita una volta per tutte dalla storia. Così è nato il testo che vi presentiamo, corredato di una ricca bibliografia, utile a chi intenda approfondire l’argomento, e di un’appendice con le interviste a due protagonisti dell’epoca: monsignor Luigi Bettazzi e Giovanni Franzoni. Non si tratta di uno studio dottrinale o di un elenco di tesi, ma di un racconto che ci auguriamo possa far rivivere quel clima di impegno, di speranza, di attivismo intenso che ha emozionato anche noi autori durante la scrittura.

Il legame tra la nonviolenza e la prassi cristiana si è andato dunque rafforzando fino al magistero di papa Francesco che definisce “bestemmia” invocare il nome di Dio, cioè appoggiarsi al credo per giustificare la strada della violenza. Infatti le religioni sono chiamate a svolgere un ruolo vitale nell’edificazione della pace e nel contrasto alla guerra, proprio nella misura in cui, negando recisamente qualsiasi legittimazione  teologica alla violenza, rispondono alle richieste più urgenti che la storia continua a rivolgerci. E’ in quest’ottica che va intesa la nonviolenza come metodo realistico e pragmatico per la gestione dei conflitti, anche tra Stati: non un’illusione da “anime belle”, ma il più efficace antidoto allo scontro fra civiltà. Sebbene il flusso degli eventi sembri procedere in senso avverso, proponiamo quindi una lettura coraggiosa e incoraggiante per una via possibile, nella quale la pace diventa un compito per tutti i cristiani, il “segno dei tempi” che il mondo attende: con il realismo della ragione e l'ottimismo della volontà.

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