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N° 38 - Vent'anni dopo - 3-11-2009

VENT’ANNI DOPO

 

Vent’anni fa, in una notte che nessuno avrebbe saputo prevedere, il muro che aveva diviso in due Berlino, e che era stato il simbolo della spartizione della Germania e del mondo intero, venne abbattuto da una folla che aveva capito, e meglio di chiunque stava interpretando, il cambiamento epocale in corso. Improvvisamente Berlino si trovò riunificata, e così la Germania, e il mondo dovette prendere atto che l’età della contrapposizione bipolare era finita. Due anni dopo una delle superpotenze che ne erano state protagoniste, l’Unione Sovietica, si sarebbe formalmente dissolta, liberando dal suo seno la vecchia Russia e altre entità, asiatiche ed europee, che avrebbero ripreso il loro non facile cammino.

Accettare un mondo unificato non fu facile, tanto il modello della contrapposizione si era sedimentato, non solo nei popoli ma negli stessi governanti. Non fu facile soprattutto per l’unica superpotenza rimasta, i cui dirigenti a lungo sono stati incapaci di prender atto delle responsabilità che la nuova situazione conferiva loro. Per vent’anni il modello del conflitto ha continuato così ad agire, con l’Islam che nell’immaginario collettivo prendeva il posto del comunismo. Il persistere e anzi l’acuirsi delle ingiustizie sociali a livello planetario forniva inesauribile alimento a diffidenze e rancori con radici storiche talora antiche.

Il fallimento del comunismo venne infatti letto come la più decisiva conferma della superiorità del modello economico vincente, e l’autorizzazione a portarlo senza più remore alle estreme conseguenze. Non ci si avvide degli esiti devastanti che ciò avrebbe comportato. Non ci si avvide che quel fallimento, prima ancora che sul piano economico, si era consumato in termini morali: il comunismo era stato rifiutato per aver negato le esigenze di libertà dei popoli e cercato di distruggerne le radici spirituali. Non ci si avvide soprattutto che il comunismo portava alle conseguenze estreme l’atteggiamento risultato dominante nella moderna civiltà occidentale: la riduzione dell’essere umano a un sistema di bisogni materiali, e la rimozione di altre più profonde dimensioni dell’esistere. In questo era ben più sottilmente solidale col suo nemico di quanto il gioco delle parti consentisse di cogliere.

Vent’anni dopo ci ritroviamo dunque ad una nuova svolta, o a comprendere più profondamente quella svolta che allora ebbe luogo. L’economia di rapina che in questo frattempo più che mai si è dispiegata, il consumismo che è stato imposto come modello antropologico, lo scadimento morale diventato spettacolo quotidiano richiedono nuovo slancio. Un muro più sottilmente onnipervasivo richiede di essere abbattuto, il muro che ci separa da quell’autentica libertà e da quell’autentica giustizia che mai possono essere contrapposte.

 

 

Invitiamo i lettori a prendere visione degli aggiornamenti del sito:

www.interdependence.it

Potranno trovare tra gli altri i seguenti testi:

 

Vladimir Zelinsky, Il segreto del potere ideologico

Ermis Segatti, L’organizzazione dell’ateismo di stato

Ermis Segatti, Parlare di pace in tempi sovietici

Bianca Gaviglio, La resistenza dell’anima

Bianca Gaviglio, Non dimentichiamo Padre Pavel

Nina Kauchtschischwili, La terra e l’anima

Claudio Torrero, Il cielo sopra Berlino

 

 

 

 

 

 

IL SEGRETO DEL POTERE IDEOLOGICO

Vladimir Zelinsky

L’ideologia è finita, ma non finisce mai. È come una maschera che ha aderito al volto dell'uomo. Stiamo uscendo dall'esperienza dell’idolatria moderna senza averla capita. Per questo val la pena riparlarne

La caduta del muro di Berlino è diventata un'espressione simbolica, che ha significato tante speranze e tante illusioni. Ma almeno una speranza si è già realizzata: la liberazione dalla paura. Si tratta della paura quasi innata della «bestia dall'Oriente», del totalitarismo che avrebbe potuto sopraggiungere dall'Oriente con i suoi carri armati pavesati di slogan rossi, con il potere del partito unico e l'onnipotenza della polizia segreta, con un mare di vodka e un'economia statalista, congelata al vertice e ubriaca alla base. Questa paura era parte integrante dell'ideologia e perfino dell'esistenza occidentale; in un certo senso essa ha creato l'anima stessa dell'Occidente nel XX secolo.

Ed ecco tutto questo non c'è più. Il mondo cosiddetto libero è veramente libero - al di là delle crisi economiche e di governo, al di là di tutti i problemi della vita quotidiana - di vivere questi anni nell'euforia di un mondo finalmente liberato. Il popolo ha vinto, l'utopia è stata smascherata e sconfitta, è venuta l’epoca della fine dell'ideologia e, forse, addirittura della fine della storia stessa. In questa laica «teologia della liberazione» che è divenuta già banale, che si è trascinata per le lunghe, non posso non sentire l'eco del primo sogno del marxismo nei suoi anni verdi: «Con noi finirà la preistoria e inizierà la storia vera e democratica». Ma come noi già sappiamo, un simile sogno e una simile promessa, soprattutto quando sono rivestiti del metodo filosofico e scientifico, spesso portano solo a un'altra utopia che nutre un'altra bestia dell'impero ideologico (forse, una bestia un po' più fine, ma più furba e più subdola) e preparano un'altra brutta svolta della storia dopo la sua fine annunciata. Può darsi anche che l'utopia di domani sarà quella di ieri, solo un po' riciclata dopo la crisi adolescenziale della cosiddetta democrazia, poco matura e troppo corrotta.

Solo per questo motivo (ma in verità, ce ne sono tanti!) dobbiamo ritornare continuamente all'esperienza già quasi classica, ma sempre sconosciuta, dell'«utopia al potere», secondo il titolo di un libro dello storico russo Michail Heller. Ma che cos'è l'utopia? Un progetto di società perfetta? Sembra di sì, ma all'inizio l'utopia è anzitutto il progetto dell'uomo futuro, il sogno dell'uomo di realizzarsi come superuomo, proiezione della propria immagine o piuttosto della propria identità, ma un'identità allargata al gruppo, al «popolo», una certa impostazione dell'«io» immaginato sullo schermo gigante di un anonimo collettivo. In questo senso «la qualità» dell'utopia, il suo «riempimento», proviene dal «contenuto» dell'uomo storico, cioè dal simbolo o dal valore con cui egli vuole identificarsi. Ma il grande valore creato dall'ideologia (come quello della nazione o della società dei giusti), serve spesso come maschera di un idolo piccolo piccolo (se lo vediamo con lo sguardo della Bibbia), che è la deificazione del prodotto del subconscio umano. Un qualsiasi lavoro di analisi e di interpretazione spirituale scoprirebbe nell'utopia l'eterna «volontà di potere», il sogno di fermare l'universo nel proprio «io», la voglia di «essere come dèi che conoscono il bene e il male»; tutto questo non è una novità, lo spirito del male finora non ha inventato niente di nuovo!

Se torniamo alla fonte stessa della nostra indagine, diremo che l'utopia è una parodia della Sofia, un'imitazione del «progetto di Dio», della sapienza di Dio, della Sua visione della storia. Di contro alla Sapienza l'uomo propone la propria conoscenza del giusto e del vero, che in fondo è piuttosto la non-conoscenza, l'ignoranza di se stesso, la sostituzione della visione autentica con la propria concezione del mondo, che non riflette altro che il suo «io» al centro di un universo creato o inventato da lui. Alla base di questa sostituzione si trova la sua volontà di potere sul mondo, più al fondo, il suo orgoglio, la sua superbia (hybris in greco) e nello stesso tempo il suo desiderio di proteggersi contro Dio, ciò che costituisce la sfida eterna della creatura al suo Creatore.

La Bibbia conosce l'enigma del «potere ideologico» come il potere degli idoli che la gente fa con le proprie mani e che diventano padroni dell'uomo. San Paolo lo chiama «il mistero dell'iniquità» («Il mistero dell'iniquità è già in azione» 2 Tess 2,7) e fra le tante manifestazioni di questo mistero troviamo la strana capacità d'influenza sull'uomo e la strana disponibilità della gente ad obbedire, a servire, a compiere la sua volontà.

Questa obbedienza accompagna tutta la storia; già in tempi più antichi troviamo un culto simile a ciò che noi chiamiamo oggi potere ideologico. E naturalmente questo potere non sparisce con il muro di Berlino, ma assume forme diverse. Le società umane partoriscono le ideologie come l'organismo vivente produce gli ormoni, dice il marxista francese Louis Althusser. (1) Possiamo dire con parole diverse che la superbia umana produce degli idoli fatti di pietra o di concezioni del mondo, creati sempre dalla sua sapienza, dalla sua conoscenza parodistica del mondo che sfida la Sofia, posta dal Signore sin dall'inizio nella creazione e nel cuore dell'uomo.

 

Di chi è la colpa

Ma il muro è caduto, l'utopia sembra essersi dileguata come nebbia, il comunismo (almeno con il suo volto leninista) è diventato un'ombra della storia passata (che, proprio come ombra, già si stende sulla storia di domani). Oggi noi fissiamo lo sguardo su quest'ombra e cerchiamo di capire che cos'è veramente successo. E dalla distanza questo spettro prende contorni un po' fiabeschi e mitologici. La nostra storiografia, forse non molto scientifica ma, diciamo, giornalistica e popolare, ha dato due spiegazioni opposte, che esistono già da un buon quarto di secolo e che invecchiano in perenne litigio, proprio come una coppia di concetti-sposi. La prima spiegazione è che il comunismo russo sarebbe il figlio bastardo dell'eterno messianismo slavofilo, che dissimulava con il proprio sedicente internazionalismo il sogno russo di costruire il Regno di Dio in terra. La sorgente storica di questa concezione è la famosa lettera del monaco Filofej (Mosca Terza Roma), ma alla sua origine intellettuale troviamo il nome di Berdjaev e abbastanza curiosamente registriamo il tentativo del patriarcato di Mosca, negli anni Sessanta, di giustificare il comunismo come costruzione del Regno dei Cieli per opera dei non credenti.

Secondo l'altra visione (in un certo senso consacrata dal nome ancor più famoso di Solzenicyn), il comunismo fu imposto alla Russia dall'esterno con un complotto internazionale che agiva per ordine dell'intelligencija, la quale aveva rinnegato la propria eredità russa e con la sua ideologia, presa in prestito dall'Occidente, ha distrutto lo Stato e la sua integrità morale per mezzo secolo.

Ma in questa discussione il soggetto, che era il potere dell'utopia, è stato inavvertitamente identificato con la colpa (morale, religiosa, ideologica) della Russia o con un'altra colpa, di qualcun altro.

Perciò il problema dell'utopia non esce dall'ambito dell'idea di una colpa da addossare a qualcuno, e delle discussioni ideologiche; è un problema che non interessa gli scienziati, gli storici, gli intellettuali di oggi. Chi vuole ancora parlare sul serio del comunismo come fenomeno spirituale? Probabilmente nessuno, il tema è troppo scottante in senso politico, troppo volgare in senso filosofico e troppo banale per dedicarvi attenzione. Noi stiamo uscendo dall'unica esperienza di idolatria nel senso più antico, senza avere particolare interesse di capirla. Anzi, chi non è capace di ricordare il passato, come dice George Santayana, è condannato a ripeterlo.

Prima di riflettere su questa esperienza, vorrei parlare da testimone, da uomo che ha portato in sé i segni distintivi di questa utopia nell'adolescenza e che l'ha subita nella vita adulta. Ho letto Arcipelago Gulag (e tutta la nostra letteratura sui campi) vent'anni fa, come una grande sfida alla nostra civilizzazione, alla nostra capacità di costruire e anche di pensare razionalmente la storia.

Che cos'è successo in realtà? Come mio tentativo personale di capire in termini storiosofici questa storia vissuta come Gulag dello spirito umano, propongo alcune riflessioni proprio sul regime ideologico che fu il nostro e la funzione umana della sua ideologia. (2)

 

La persona «impostata»

Possiamo dire che nel nostro secolo XX l'uomo è stato umiliato dal suo stesso sogno, dal suo «progetto» storico. Tutte le vittime dello Stato terroristico, nato dalla rivoluzione del l917, sono state condannate nel momento in cui questo «sogno» millenaristico si è impadronito del diritto di pensare, di parlare, di credere al posto degli esseri viventi.

Il potere ideologico, cioè l'ideocrazia, significa anzitutto sfruttare l'uomo come essere che ha fame e sete di giustizia, anche in senso evangelico, e procurargli una sazietà illusoria. Questo potere funziona con il trucco della sostituzione o piuttosto, identificando l'anima di qualsiasi cittadino dell'utopia con l'utopia stessa, cioè con un certo testo ideologico, obbligatorio per tutti e a sua volta identificato con lo Stato (André Glucksman la chiama «identità del territorio e del testo»). Ma il segreto di questa identità e il suo carattere anonimo, violento, impersonale sfuggono alla persona sottoposta all'utopia e trasformata in una delle sue funzioni. Tutto il dramma della rivoluzione o della generazione dei suoi «credenti», dei suoi fedeli che morivano sulle isole dell'Arcipelago o soffrivano sotto il potere da loro scelto e appoggiato, consiste nella domanda-grido: perché «lui», il potere, pensa, parla, confessa con la nostra bocca una cosa, mentre con noi fa qualche cosa di assolutamente diverso?

È facile studiare il nostro genio quando si è dissolto nell'aria o è tornato di nuovo nella sua bottiglia come ombra di se stesso, e sembra a tutti tanto piccolo, ridicolo, quasi inoffensivo. Ma quando era capo del suo popolo, capo del governo, capo delle prigioni, capo di tutte le parole dei suoi cittadini e delle loro idee, del loro comportamento sociale, del loro cibo e delle case dove abitavano, anche della loro creatività, della loro sensibilità più intima e personale, della loro vita stessa, nessuno osava mostrare neppure la punta del naso da dietro la sua schiena. L'utopia, appena concepita, crea un certo modello sociale, un uomo-campione che è sempre più vivo di tutti i vivi, perché ogni cittadino gli dà – il più spesso senza visibile costrizione esteriore – non soltanto la propria cittadinanza ma anche la maggior parte della propria esistenza.

Se la vita sociale può essere rappresentata come un sistema abbastanza complesso di ruoli, nel quale il membro di questa società compare in varie situazioni (come contribuente, utente dei mezzi pubblici, soldato nell'esercito, come cliente, funzionario, elettore, consumatore, paziente, ecc.), nel regime basato sull'utopia la sua prima funzione è la «fede», la «concezione del mondo». Qualsiasi cittadino del territorio occupato e in un certo senso riempito dal testo ideologico obbligatorio è anzitutto portatore di una certa «verità scientifica», che ha un significato assolutamente sacro. Diversamente da quanto afferma l'insegnamento della stessa ideologia, non la materia, come professa per bocca del suo partito, ma «lo spirito» ideologico è primario, perché esso si frappone tra la persona del cittadino e il sistema statale in cui egli è incluso.

La «concezione del mondo» è come il passaporto unico in cui ci vuole il visto semplicemente per vivere, mangiare e approvare tutte le azioni dello Stato. In questo passaporto sta scritto fra tante altre cose che il suo possessore può avere la salvezza nella gloria delle generazioni future (testo del comunismo scientifico), che «Lenin è il capo e il maestro di tutta l'umanità progressista» (testo del materialismo storico), e «che l'elettrone è inesauribile come l'atomo» (testo del materialismo dialettico), che «l'immortalità è costituita dalle azioni eroiche compiute in nome della rivoluzione, che rimangono per sempre nella memoria» (il credo della moralità atea) e altre citazioni e sentenze comuni. Il credo è variabile ma non più di tanto, lo si può ridurre ad alcune decine di affermazioni.

Dunque, in principio era il Testo-Archetipo (la Notizia; il Messaggio, la Conoscenza), il Testo scritto, confermato, consacrato, pronto per l'uso e obbligatorio per tutti. Questo principio precedeva la nostra cittadinanza, la nostra appartenenza alla società, la nostra esistenza stessa. Il Testo appartiene a tutti e a nessuno, perché non esiste nessun essere vivente che potrebbe identificarsi totalmente con il suo ruolo sociale, con tutte le sue parole o pensieri. Se in una società liberale il mercato gioca sui bisogni, li eccita, li crea eccetera, nel sistema utopistico o ideocratico esiste un bisogno primordiale e necessario: il bisogno di conoscere, confessare, possedere l'unica fede che lo Stato impone, e di vivere in questa credenza e difenderla con tutte le proprie forze.

La maschera si incolla ad ogni volto e si fissa, si rapprende su di esso. E con la maschera si rapprende anche il modo di pensare, di reagire, di comportarsi che viene imposto attraverso tante mediazioni. La maschera è nessuno in particolare e «tutti insieme». Tutti le obbediscono. Dice Heidegger che usando i mass media (giornali) tutti finiscono per assomigliarsi. In questo essere comune l'esistenza si dissolve nel modo d'essere degli «altri», ma così che gli altri spariscano in ogni loro differenza ed evidenza... Noi godiamo e ci divertiamo come gode e si diverte l'Uomo tipo (das Man); guardiamo, discutiamo di letteratura e di arte come guarda e discute «l'Uomo tipo»... Un tipo indefinito e comune, impone alla quotidianità il suo modo di essere. Noi consideriamo scandaloso tutto ciò che l'Uomo tipo considera come scandaloso. (3) Sviluppando questa citazione, che è diventata classica, possiamo aggiungere che noi crediamo nell'avanzamento progressivo della società come ci crede l'Uomo tipo, siamo sicuri di vivere nella società più giusta come ne è sicuro l'Uomo tipo, siamo intolleranti verso tutti i suoi nemici com'è intollerante l'Uomo tipo.

Ferma! Stiamo attenti a non confondere la dittatura diluita ed impercettibile dell'Uomo tipo propria della società consumistica e democratica (descritta proprio come dittatura dell'Uomo a una dimensione, nel senso di Marcuse) con la dittatura di ferro dell'utopia. Quest' ultima è più che percettibile, il das Man ideologico è onnipresente, onnipotente, a costui appartiene l'iniziativa dell'amore e dell'odio, come pure il contenuto della poesia o della filosofia.

La società utopistica, secondo le previsioni dei migliori pensatori dell'umanità a partire da Platone, è la società dei filosofi. Tutti fanno filosofia come primo dovere nei confronti dello Stato, perché dai loro pensieri sulla storia, la materia, Dio, il partito, dipende la loro esistenza fisica. Nella metà del secolo XX scrive il poeta polacco Czeslaw Milosz - gli abitanti di molti paesi europei sono stati costretti a convincersi che il loro destino poteva dipendere da libri di filosofia che trattavano problemi astratti e quasi inconcepibili. Il loro pane, le loro preoccupazioni quotidiane si trovavano in stretta dipendenza dalla soluzione di questioni, cui non avevano prestato alcuna attenzione. (4) Possiamo dire che nello Stato dell'utopia ogni cittadino è sottoposto al filtro della filosofia statale.

Il potere ideologico si esprime nel dare la vita, incarnare e ancor di più, nel personalizzare questo potere senza volto. L'ideologia non è una diffusa autorità burocratica, l'ideologia è la Persona che ha il proprio dominio su tutti e su tutto. Anche i «capi» con il loro potere illimitato sono sottomessi a questa invisibile, immateriale personalità anonima. La società intera sembra trasformarsi nell'uomo unico, sintetico, comune, multiforme, nell'essere che non esiste e che è dappertutto. Questa Persona si trova in me, indipendentemente dal fatto che io condivida le sue convinzioni o solamente segua i suoi ordini. Ma proprio quando i miei pensieri, le mie emozioni e i miei gesti sono fedeli ai pensieri, alle emozioni, ai gesti della maschera che è mia e comune nello stesso tempo, questa maschera diventa sempre più forte, più efficace, più esigente.

 

Tutto il reale è razionale

L'immagine della Persona (o della maschera unica per tutti, come nel teatro antico) che porta, raduna e incarna in sé le idee, la funzione dominante del potere ideologico, la sua «anima», il suo volto, proviene per un verso dalla nozione jungiana di «subconscio collettivo» e per un altro dalla filosofia del marxismo stesso, soprattutto dalla sua nascosta metafisica hegeliana. In fine la terza «fonte ed elemento costitutivo» del potere ideologico, secondo l'espressione del suo ultimo padre-fondatore è, senza dubbio, la sua idea messianica o idolo del futuro.

Non possiamo approfondire questi temi in così poco spazio, ma diciamo in due parole che la maschera ideologica è sempre una proiezione di tutto ciò che è represso e soffocato, che abita nella zona oscura della nostra coscienza. Le idee più luminose possono essere il riflesso di cose più nascoste perché l'idolo, che costruiamo con le nostre mani o con le nostre idee, ci paga con una sola moneta: ci dà la facoltà magica di identificarci con esso e di ingannarci. Per questo motivo il nostro «attaccamento agli idoli» è cosi indistruttibile, come afferma sempre la Bibbia, e perciò gli idoli anche cacciati e distrutti non muoiono mai. Essi continuano a vivere sotto la copertura della nostra identità mascherata.

L'uomo ha bisogno della maschera che gli serve come protezione contro Dio, la società e se stesso.

L'ideologia come Stato, come dominio assoluto, è una di queste maschere, incarnazione degli idoli, creata dall'ispirazione millenaristica (cioè dall'attesa, dall' anticipazione del nuovo regno con la sua nuova rivelazione, che dovrebbe provenire da un altro dio, un dio creato dall'uomo). Lo spirito messianico (alcuni pensatori, tra cui Alain Besançon, (5) lo equiparano allo gnosticismo dei primi secoli) nel nostro caso è assolutamente secolarizzato. Non è difficile trovare i legami che ne fanno l'erede del messianismo tradizionale russo, ma se cerchiamo bene, potremmo trovare legami simili dappertutto, perché il messianismo fa parte di qualsiasi falsa religione.

Tuttavia nel nostro caso gli antichi spiriti messianici hanno trovato una forma speculativa nella cultura filosofica del secolo dell'Illuminismo. C'è una catena dialettica che unisce tutti e quattro gli elementi del regime ideologico: la visione dello sviluppo storico come determinato dall'interno dal modo di produzione e dal mutamento delle forze socio-economiche di Marx; il materialismo dogmatico-dialettico di Engels, la teoria e prassi del partito di nuovo tipo come protagonista della storia di Lenin; l'impero della schiavitù ideologica, mosso dalla follia della produzione a qualsiasi prezzo umano e dal terrore illimitato di Stalin (che Camus chiamava il terrore razionale, differente dal terrore irrazionale dello Stato fascista). (6) Non serve che nel processo di «ritorno alle norme leniniane» Stalin sia stato cacciato dalla compagnia dei «classici», egli fa legalmente parte della stessa famiglia di padri-fondatori perché la sua attività è stata dall'inizio la realizzazione pratica e molto concreta dell'idea insita in questo sviluppo dialettico.

Questo inizio lo possiamo cercare molto, molto lontano nella storia del pensiero occidentale. Heidegger, negli ultimi anni della sua vita, affermava talvolta che la bomba atomica aveva incominciato a esplodere già nel pensiero di Eraclito e Parmenide: non si tratta di alcuna responsabilità morale da parte loro, ma soltanto del tipo di pensiero europeo creato nell'antichità più lontana, che ha condizionato tutto lo sviluppo millenario della conoscenza occidentale, filosofica e scientifica. Non andremo certamente così lontano, ma a nostro parere tutto l'impero ideocratico costruito da Stalin era già formulato in maniera più astratta nell'utopia della pura ragione o in quella dello Spirito Assoluto di Hegel, lo Spirito che si riconosce nel proprio universo speculativo, che esso ha creato per sé, diretto rivale dello Spirito di verità chiamato Consolatore.

Quando Hegel dice che la ragione è lo strumento con il quale ci si impossessa dell'Assoluto, con il quale lo si vede interamente, (7) quando costruisce una visione veramente geniale di questo strumento che si conosce nella storia e arriva alla sua identità nella filosofia, come nello Stato «razionale», egli pone il fondamento metafisico per l'Arcipelago Gulag. L'Arcipelago è una geenna della pura ragione (o del prodotto utopico della ragione inventata), la «discarica» dello Stato assoluto, costruito secondo il più bel progetto umano. E questo progetto, filosofico, speculativo, spirituale, diventa il padrone assoluto della realtà, del creato. Tutto il razionale è reale (dunque statale), tutto ciò che non è razionale dovrebbe essere espulso, eliminato dalla realtà stessa.

E naturalmente, il materiale di scarto prodotto dalla purezza della ragione, incarnata nella realtà storica razionale, deve avere anche l'odore delle immondizie; il mondo intero, dopo aver annusato questo cattivo odore, deve sentire i conati dell'avversione. Lo Stato razionale, il sistema dello Spirito Assoluto come forma dello Stato, non ha potuto mandare i suoi avversari alla geenna come semplici oppositori politici. Gli oppositori dello Spirito, rappresentato dalla persona del Segretario Generale, che da parte sua rappresenta il bene assoluto sulla terra (la giustizia, il genio, il coraggio, l'amore del Padre che pensa a tutti) non possono essere nient'altro che l'incarnazione del male assoluto, del male che colpisce l'immaginazione (il tradimento più perfido, la collaborazione con i servizi segreti di tutti paesi nemici, il sabotaggio, l'avvelenamento dei pozzi, eccetera). Il cittadino condannato all'inferno avrebbe dovuto scegliere questo inferno da se stesso (perché la ragione della verità storica agiva anche in lui!), con la propria confessione in un pubblico processo, perché anche lui era un portatore della ragione dello Stato: lo spirito del Segretario Generale si manifestava anche in lui nella forma della sua negazione. Dunque, la negazione sarebbe diventata per lui, futuro condannato, un atto di autonegazione come forma di servizio allo Stato. Arthur Koestler l'ha spiegato perfettamente nel suo romanzo Buio a mezzogiorno.

Il Gulag, come Auschwitz, è diventato un simbolo del nostro XX secolo, simbolo che ha sconvolto la coscienza dell'umanità. Ma fra queste due piaghe della nostra coscienza esiste una differenza, se non nella qualità e nella quantità, almeno nel senso del crimine. La celebre espressione «dopo Auschwitz» ha un significato immediato, ed esprime questo sconvolgimento fin nell'intimo del nostro essere. «Dopo Auschwitz qualsiasi poesia è soltanto polvere» (Theodor W. Adorno). Dopo Auschwitz la teologia che non è cambiata è da buttare (J. B. Metz). Ma Auschwitz in un certo senso è stato l'ultimo e maggiore anello della catena di innumerevoli ecatombi umane della storia, quando il vincitore imponeva «la soluzione finale» al vinto. Il Gulag è stato invece un crimine di carattere filosofico, un olocausto del pensiero che aveva fra le sue radici solo l'inquisizione. Ma se l'inquisizione perseguitava l'eresia, il Gulag l'inventava. Se Auschwitz schiacciava i nemici del Reich sui territori occupati, il Gulag presumeva che il proprio Reich già esistesse in tutto l'universo. Un esempio: quando la Germania occupò la Polonia nel 1939, gli ebrei venivano arrestati e condannati come ebrei. Quando l'URSS occupò la parte orientale della Polonia nello stesso 1939, alcuni cittadini polacchi furono arrestati per tradimento della patria, però non della vecchia patria polacca ma già di quella sovietica! Lo stesso delitto e castigo si ripeté anche nei paesi Baltici nel 1940. Perciò qualsiasi tradimento inizia dall'infedeltà alla dottrina stabilita (che questi «infedeli» non hanno potuto neanche conoscere); tutto il popolo occupato o, meglio, «incorporato» alla patria-dottrina, a eccezione di pochi «filosovietici», diventa una popolazione di traditori e il Gulag con clemenza punisce soltanto una parte di essi. In questo senso il Gulag può essere considerato come repressione di tipo nuovo. E l'essenza di questa repressione consiste nell'identificazione forzata di tutto ciò che è pensato e giustificato dal pensiero con tutto ciò che esiste (o meglio: che ha il diritto di esistere nella realtà dello Stato): «Reale è solo quello che il partito considera razionale» - disse un giorno con assoluta ingenuità metafisica un Grande Inquisitore del partito (Suslov) senza pensare nemmeno per un attimo di parodiare il grande filosofo tedesco.

 

Lo strumento della storia

Dopo Hegel (che naturalmente ha sviluppato l'idea dello Spirito che si realizza e si sviluppa nella conoscenza da se stesso ed a partire da se stesso), l'idea ereditata dai suoi predecessori (fra gli altri Descartes, Spinoza, Kant e l'Illuminismo); l'idea dell'unità, della coincidenza totale e razionale della ragione umana con la realtà come oggetto della sua conoscenza, ha subito una semplificazione filosofica e ha avuto la sua realizzazione pratica. Già Engels nel suo opuscolo Ludwig Feuerbach poteva dire che la filosofia dialettica non è nient'altro che la riflessione del processo interminabile dell'ascesa dall'inferiore al superiore nel cervello di chi pensa. La dialettica è semplicemente la riflessione nel pensiero delle leggi oggettive della natura e della storia. (8)

L’idea della riflessione è diventata centrale nell'esercizio filosofico di Lenin. Il cervello umano (nel caso di Hegel: il cervello del filosofo stesso nella sua abitazione berlinese; nel caso di Lenin: il cervello del partito che riflette e proclama la verità della storia nella persona del capo del partito) costituisce la riflessione unica di tutta l'oggettività, un contenitore delle leggi oggettive dello sviluppo della storia. La storia ha chiesto: «Che fare?», (9) e la risposta di Lenin fu: costruire un gruppo d'azione che sarebbe diventato strumento di riflessione corretta e giusta sulla lotta di classe che crea la storia, che ascende ai vertici tramite lo strumento del suo cambiamento, cioè il partito. Il partito è l'arma della storia stessa o del famoso Spirito, ma in questo caso, questo Spirito anonimo e nascosto è sostituito dalle leggi oggettive dello sviluppo scientifico e necessario, scoperte dal marxismo. Lenin concepiva se stesso (o concepiva il ruolo del suo partito, che è la stessa cosa) come l'organo della necessità storica, in cui la storia si esprime e avanza. Qual è la differenza principale con il famoso Spirito hegeliano?

Ricordiamo la rabbia con la quale Lenin trattava i voli idealistici di Hegel nei Quaderni filosofici, nella concezione dello Spirito; negli excursus religiosi hegeliani egli vedeva uno specchio deformante della propria teoria della conoscenza, che in realtà era una cattiva caricatura di quella di Hegel. Ma la riflessione, diciamo l'identità gnoseologica fra il mondo, la storia e la ragione scientifica che lo vede, percepisce, conosce e cambia, è assoluta. Il mondo è come la ragione, come il cervello umano, che attua il processo della presa di coscienza, della sua autoriflessione nella persona empirica del filosofo prussiano o nel partito nella persona del suo capo: è la stessa formula del potere metafisico dell'uomo sul mondo. La parola «obiettività» (dello Spirito, delle leggi dello sviluppo socio-economico) non è nient'altro che la copertura di questa autorità dura e totale del soggetto, dell' «io» metafisico che vuole essere il padrone assoluto del suo mondo.

La pretesa che i processi dialettici del mondo si riflettano nel cervello che pensa è infatti il trionfo della soggettività, che si identifica né più né meno che con la creazione come tale. Questa identificazione dà all'uomo (in senso generale, l'uomo come padrone e motore della storia) la sensazione vertiginosa di essere un altro creatore. Ha finalmente mantenuto la sua parola il personaggio biblico che aveva promesso tutta la sapienza al povero Adamo; l'uomo storico, nella persona del partito di Lenin (lo stesso partito che filosoficamente è concentrato sempre nel cervello del capo del partito), ha ricevuto finalmente tutta la conoscenza umana, la conoscenza che può d'ora in avanti creare e dirigere il proprio destino e la storia del proprio mondo.

L’avventura del dominio ideologico sul piano speculativo è la trasformazione e l'autodefinizione della Persona che ha il potere. Prima abbiamo il potere assolutamente speculativo, il potere che proviene dalla vittoria spirituale, speculativa della conoscenza umana sul mondo come idea e astrazione. Poi, il soggetto scopre la leva economica e storica di questo potere. In terza istanza, il soggetto dà forma storica ed efficace a questa scoperta: il partito di tipo nuovo come nucleo che concentra la massa della gente e fa il salto dalla preistoria nella storia programmata. Il soggetto si afferma come Persona ideologica nello Stato in cui tutti sono costretti a dissolversi. Questa persona-Stato, persona-società, persona-ideologia diventa l'unico agente e soggetto della storia.

Ma chi è questa persona? Come si chiama? Si chiama «il semplice uomo sovietico», come dice una canzone popolare degli anni staliniani. Lui è il padrone vero, unico, assoluto. Dallo Spirito hegeliano si arriva fino al «semplice uomo sovietico», terribilmente semplice, come ha detto Gor'kij di Azef (agente della polizia infiltrato tra i bolscevichi prima della rivoluzione), ma avrebbe potuto dirlo anche di Stalin stesso, suo amico cordiale (che, fra l'altro, nella sua gioventù eroica era stato anche lui agente segreto della polizia). Tramite Marx, Engels, Lenin, la rivoluzione e altro ancora, è stato realizzato il processo graduale e sempre dialettico della tremenda semplificazione e materializzazione di questa figura immateriale: il rivale del Creatore.

Il suo nome non ha nessuna importanza. Importa invece la sua funzione, che è quella di sapere tutto, di creare un'ultima espressione della verità sulla terra, di riconoscere se stesso nelle proprie creazioni. La famosa teoria della riflessione, figlia legittima di Hegel, benché suo padre non sarebbe stato troppo orgoglioso di lei, ha offerto lo strumento filosofico per l'idea del potere autenticamente divino della ragione umana su tutto il creato. Questo potere funzionava in modo semplice, terribilmente semplice. Perché – rimanendo ancora un attimo nell'ambito del pensiero puro – quando poi proclamiamo che tutto ciò che è reale è razionale, la ragione umana può arrivare, secondo le parole di Dostoevskij, a «risultati sorprendenti».

Tutta la grande dialettica di Hegel e di Marx ha trovato la sua conferma, la sua prova pratica nelle gesta dei compagni Lenin e Stalin. Quando Lenin, nel gennaio del 1918, sciolse l'Assemblea Costituente subito dopo la sua elezione, non provò imbarazzo ad usare un'argomentazione dalla logica impeccabile: «Tutto il potere ai Soviet, abbiamo detto noi, e combattiamo per questo. Il popolo voleva convocare la Costituente e noi l'abbiamo convocata. Ma il popolo ha sentito subito che cos'era questa famigerata Costituente. E noi abbiamo attuato la volontà del popolo che diceva: tutto il potere ai Soviet. Quanto ai sabotatori, li spezzeremo». (10)

La cosa stupefacente qui è la coincidenza della volontà e della filosofia di Lenin con la volontà e la decisione del popolo, questo riflettersi del movimento della storia nella coscienza di classe, nella coscienza del partito, nella coscienza del suo Comitato Centrale, nella coscienza di Lenin in persona. Il popolo ha votato per la Costituente e l'ha eletta e dopo ha visto cos'era... Ma ha visto quando? Nel giorno della seduta unica? In questo caso, come sempre, Lenin concepisce se stesso come la Necessità Storica personificata, che agisce nella storia al posto del popolo, perché la sua volontà si è identificata coercitivamente con lui. Lenin, il popolo, il partito, il Comitato Centrale, i Soviet, ecc., d'ora in avanti saranno la stessa cosa.

Il potere ideologico agisce assumendo i panni di un certo soggetto della storia (popolo, partito, Lenin) che esprime la sua volontà assolutamente scientifica ed oggettiva. E in forza di questa coincidenza il soggetto perde il senso della propria fragilità umana, la memoria dei propri limiti e si crede un demiurgo che crea un'altra realtà, più razionale, più logica, più corrispondente all'idea di questa realtà.

«Tutto ciò che esiste in realtà, cioè che cresce ogni giorno, è razionale», cosi intende la filosofia dialettica il giovane compagno Stalin fra una rapina in banca e l'altra. Dopo circa trent'anni il procuratore Vysinskij farà un commento da professionista su questa lezione: durante il processo contro il blocco della destra-trockista nel 1938, Vysinskij fece notare il significato storico di quel processo. Un anno fa, disse in quell'occasione, il compagno Stalin ha detto che l'opposizione ha smesso di essere un movimento propriamente politico, ed è diventata una banda senza scrupoli di assassini, spie e così via. Un anno è passato, e il processo attuale conferma con tutta l'evidenza possibile e senza nessun dubbio che il compagno Stalin aveva pienamente ragione.

Adesso Stalin non è soltanto la necessità storica, ma veramente un creatore, quasi un actus purus come san Tommaso definisce Dio; è il Signore di tutta la realtà. Tuttavia anche lui non agisce a nome proprio, ma nel nome di questa Persona impersonale, dell'Uomo tipo che ha potere illimitato come idea, come astrazione, e che come personalità non è niente.

Ma come lo usa, questo potere? «Lo schema è questo: dare degli argomenti e creare le condizioni per realizzarli con la forza», scrive Czeslaw Milosz nel suo libro La Pensée captive. Il potere ideologico dice una cosa e fa di tutto perché un'altra cosa, una cosa che contesta la prima, non possa esistere. E quando la realtà è creata come astrazione, come invenzione, come riflessione nel cervello che pensa i propri pensieri, compare sempre un'altra realtà, soppressa, cacciata, la non-realtà del sottosuolo, dello discarica umana, quella del Gulag.

Tutta la storia del potere ideologico è l'avventura della lotta fra la «realtà razionale» dell'ideologia ed il suo sottosuolo soppresso. In termini sociali: la lotta fra l'astrazione creata dalla ragione e la sfida di un'altra realtà.

La realtà inventata dall'ideologia entra in una relazione abbastanza complessa con la realtà vinta, soppressa ed esiliata. Da una parte l'ideologia non vuole sapere nulla del proprio sottosuolo, come il «semplice uomo sovietico» (cioè: l'Uomo tipo) non doveva e non aveva diritto di sapere qualcosa sulla realtà delle prigioni e delle violenze perpetrate dal suo Stato. Questo lato era sempre in ombra. D'altra parte lui e il suo Stato vivevano in rapporti permanenti ed intensi con quest'ombra della realtà. Il cittadino qualsiasi sapeva che la «spada della rivoluzione» lo proteggeva e che puniva solo i nemici della rivoluzione e del regime. Ma nello stesso tempo sapeva che anche lui avrebbe potuto essere arrestato, torturato, processato e costretto a confessare crimini mai effettuati, perché il nemico poteva essere anche lui, un nemico nascosto a se stesso, non ancora smascherato. «Il semplice uomo sovietico» sapeva anche di essere l'uomo più libero del mondo, ma la sua libertà esisteva solo per proclamare che lui era l'uomo più libero nel mondo e per nient'altro.

Così nell'ideologia, come nella mentalità dell' «uomo semplice», coesistevano due realtà, due visioni, due atteggiamenti. E la loro coesistenza non era pacifica, anzi. Il regime ideologico è un regime profondamente schizofrenico in senso spirituale, perché le due percezioni della realtà, o, forse, il punto di giuntura fra le due diverse realtà crea una tensione fatale. E la fluttuazione di questa tensione, prima l'ostilità, poi la ricerca del compromesso fra le due realtà, segna la storia di qualsiasi regime ideologico.

 

La fine dell'ideocrazia

Possiamo dividere questa storia in due periodi schematici. Il primo è l'attacco, l'impeto, l'assalto dell'ideologia, la presa, la conquista di uno spazio sempre nuovo nella vita della società e dell'individuo. L'avanzata dell'ideologia si manifesta in questa fase nella moltiplicazione del male, concretizzato ogni volta in un nuovo nemico. I primi venti, venticinque anni del regime sovietico sono stati occupati sul piano ideologico dalla ricerca incessante e veramente frenetica di sempre nuovi nemici nascosti, e poi ancora più nascosti, più perfidi, più pericolosi. Ricordiamo: i controrivoluzionari, i sabotatori, i guastatori, i kulaki, le spie di tutti gli stati nemici e altri frutti di una pazzia ben organizzata…

Ma anche l'immagine del nemico seguiva la sua evoluzione verso un male sempre più intollerabile, che gridava vendetta al cielo. Nello stesso tempo all'interno dell'ideologia stessa si sviluppava un altro processo, un processo di sacralizzazione della Persona, inventata, mediatrice, nell'immagine del capo del partito che si rivestiva dei panni del mito. La sacralizzazione del capo (ma sempre come «semplice uomo sovietico») aveva un parallelo nella sacralizzazione del peggior nemico dell'«uomo semplice» (cioè esemplare), dell'immagine del male incarnato. Questa divisione non era soltanto sociale ma anche mentale, psicologica, perché il cittadino qualsiasi portava in sé il modello dell'«uomo semplice» e anche quello del suo nemico, nascosto sotto il primo.

Non possiamo soffermarci neppure brevemente su tutte le avventure e disavventure di questa storia. Ma alla fine anch'essa arriva al momento in cui la follia ideologica non può più resistere da sola, ha bisogno di una tregua, di un compromesso con il senso comune. Così comincia la sua ritirata, che porta con sé la fine sempre imminente ma, forse, non così vicina. Il periodo in cui il potere ideologico stava esalando il penultimo respiro e cercava una tregua si è chiamato «perestrojka» o «ritorno ai valori umani».

La perestrojka ha seguito il periodo di assalto dell'ideologia con la stessa subitaneità con cui l'invecchiamento segue la giovinezza. Spesso succede, quando arriva la vecchiaia e si scambia per una nuova giovinezza (nel nostro caso è stato il periodo di Kruščëv), che il processo naturale possa venire frenato e congelato (il breznevismo «classico»), ma la senilità torna più irreversibile e impetuosa dopo un periodo di congelamento. Il potere ideologico perde la sua protezione, basata sempre sul terrore, sulla minaccia della violenza contro tutto ciò che può essere considerato come normale, evidente, ragionevole e così via, ed è costretto a fare un trattato di pace. O piuttosto una tregua, perché il potere ideologico, con i «valori umani», vuole innanzitutto salvare se stesso, ma muore proprio nel momento del salvataggio e a causa del salvataggio. La guerra lo conserva e la pace lo uccide, e quando Gorbačëv, ultimo sognatore bolscevico, ha dichiarato di voler rinunciare all'immagine del nemico, il suo regime come quello dei suoi predecessori era già condannato.

Ma scusate, chi è questo nemico? Da dove è venuto e dove abita oggi? L'oppositore più perfido abita proprio nel cervello dei cittadini dell'utopia, costretti a capire le parole semplici in un altro modo, cioè secondo il loro significato ideologico. Tutta l'ideocrazia di tipo sovietico è stata un tentativo grandioso di dividere il discorso umano, di sdoppiarlo, di spaccare la lingua in due, una per l'uso privato, cioè comune (ma nascosto nel sottosuolo), un'altra per l'uso speciale, supremo, immaginario, pazzesco, quello dello Stato e della società. Lo Stato ideologico crea la società della schizofrenia collettiva ammaestrata, la relega nel subconscio, e fa uno sforzo enorme per tenerla sotto controllo. Ma un giorno o l'altro l'antico significato, domato e soppresso, esce dalla sua gabbia e lancia la sfida al significato ideologico, che non ha più forza di resistenza.

Il segreto del potere ideologico consiste nel furto del significato e del valore; l'utopia li usurpa e se li attribuisce. Ma quando l'utopia si rende conto di questa ruberia e incomincia le trattative – io ti restituisco un terzo, un quarto, anche un decimo del senso comune – è già votata alla morte. Il regime ideologico è stato condannato quando il suo ultimo Segretario Generale ha dichiarato che il socialismo (nel senso di «socialismo reale») era stato senza dubbio una forma superiore di società, ma per diventare ancora più perfetto doveva essere arricchito dei valori umani. Allora i famosi «valori umani», ma soprattutto l'anima della società, sono stati a poco a poco liberati, e la loro liberazione ha avuto l'effetto di un antidoto che distrugge dall'interno la malattia mentale.

In Cina abbiamo visto il periodo d'assalto, un assalto effettuato in due riprese (il periodo della rivoluzione culturale è stato come il ritorno alla giovinezza della Grande Marcia), e adesso vediamo la perestrojka con una lenta ritirata dell'ideologia. Aspettiamo un po' e vedremo la perestrojka anche nella Corea del Nord, ma nessuno può prevedere i tempi precisi. Forse, gli ultimi regimi a potere ideologico sono diventati più coerenti nella loro follia, e francamente penso che quando Castro grida che il popolo cubano è pronto a difendere la sua rivoluzione per altri mille anni, ha più possibilità di rimanere al potere che non se facesse un «compromesso storico» con il suo grande nemico yankee. Per un regime basato sull'ideologia è meglio restare fedele alla propria logica, pur nella sua schizofrenia, restando immune da ogni altra ragione, fino alla fine, diciamo, naturale.

Il potere ideologico arriva con la forza e la guerra (la guerra civile o «l'aiuto fraterno» del Grande Fratello), ma a volte può morire abbastanza pacificamente, in seguito al compromesso con il senso comune. Ma attenzione: la sua eredità non muore con lui, anzi, assume altre maschere. Tutte le strutture mentali che l'ideocrazia ha creato sono vive e possono essere riempite con lo stesso o con qualsiasi altro contenuto, per esempio quello nazionalista. Il nazionalismo, che secondo le parole di Adam Michnik, è la fase suprema del comunismo, è costruito sullo stesso fondamento: la proiezione della persona immaginaria del popolo mitico che scopre immediatamente i propri nemici e comincia la sua lotta per sopprimerli e sterminarli.

Il segreto del potere ideologico consiste nella lotta diurna e notturna contro un nemico mille volte più pericoloso, perché invisibile. Questo nemico infatti si trova in noi stessi, nel nostro cervello, nel nostro spirito. E per combattere il male onnipresente abbiamo bisogno di un alibi, della grande giustificazione: la salvezza dell'umanità nel socialismo, la salvezza della patria. Ma in fondo cerchiamo la salvezza di noi stessi tramite una proiezione del nostro «io» mitizzato e fabbricato dall'ideologia. Perciò l'ideologia ci crea, ci fabbrica a sua volta.

L'eredità dell'idolatria rimane con noi e in noi, e il suo successo storico, la sua forza, proviene dalle fonti nascoste della nostra anima che appartengono a Dio. La società che è appena uscita da questo dominio ha bisogno non soltanto di pentimento ma anche di una coscienza vigile, di una scuola di ascetismo interiore e di discernimento spirituale. In qualsiasi momento anche l'idea più bella della nostra cultura può diventare strumento di un potere alienato, con le sue «idee» che servono come maschere. Perciò la società appena uscita dall'esperienza dell'idolatria ideologica non ha precetto più importante di quello di san Giovanni: «Figli miei, guardatevi dagli idoli» (1Gv 5, 21).

Soprattutto dagli idoli nati nel cuore e fabbricati dal cervello.

 

 

 

NOTE

 

1) Cfr. L. Althusser, Les mechanismes ideologiques d’Etat, «Pensée», 1970.

2) Avevo deciso di scrivere un libro di riflessioni sul potere ideologico e l'ho scritto negli anni Settanta. Habent fata sua libelli: il mio manoscritto fu trovato per caso nel 1979 dal KGB, la mia paternità fu ricercata ma non scoperta, però non sono più tornato su quel lavoro. Oggi per la prima volta dopo quindici anni, ritorno a questo tema.

3) Cfr. M. Heidegger, Sein und Zeit.

4) Cfr. Czeslaw Milosz, La pensèe captive,1951. 

5) Cfr. A. Besançon, Les origines intellectuelles du leninisme, 1977.

6) Cfr. A. Camus, L'homme revolté.

7) Cfr. Hegel, La fenomenologia dello spirito.

8) E. Engels, L. Feuerbach e la fine della filosofia classica tedesca.

9) Ricordiamo il titolo di uno dei suoi primi libri.

10) V. I. Lenin, L'elezione alla Costituente (in russo).

 

Vladimir Zelinsky è sacerdote ortodosso dell’Esarcato russo del Patriarcato di Costantinopoli. Testo pubblicato su ‘La Nuova Europa’, VI (1997), 2, (272), pp. 75-87. Viene ripubblicato per gentile concessione dell’autore.

 

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