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Il Cercatore della Preghiera Incessante

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Che senso ha oggi, in Europa occidentale, riportare l’attenzione sullo Strannik, il Viandante mistico del mondo pravoslavo? Maciej Bieslawski scommette sulla sua eternità, più che sulla sua attualità, sapendo bene che anche in una epoca come questa nostra, esempi autentici di una vita e di un punto di vista assai sbilanciato – spirituale – possono godere di un particolare fascino e ascendente.

Soprattutto per chi si trova, magari inopinatamente o inconsapevolmente a percorrere percorsi consonanti. O chi ne è affascinato, o anche solo incuriosito, scosso o forse anche intimorito.

Da sempre, la suddivisione orientale tra cenobiti e ideoritmici, che spesso in occidente è stata percepita come invalicabile e connotante, era invece un confine labile, che permetteva ogni tipo di scambio e travaso e le biografie dei singoli monaci ne son stati spesso la prova evidente.

Strannik, Viandante, non equivale a ideoritmico, l’aspirazione alla meta e al cenobio del libro sono vere, si entrava e si usciva, si andava, ci si fermava e talvolta si ripartiva. Nessuno era solo fermo, nessuno era solo in viaggio. Lo Strannik incontra nel suo viaggio altri Stranniki, qualcuno si è fermato, altri ancora stavano andando, esistono mete fisiche, cenobi da raggiungere, non c'è preclusione.

Vademecum, portolano spirituale, programma, guida, zibaldone e mappa mistica, confessione, le varie lectiones ed edizioni delle peregrinazioni dello Strannik hanno potuto insegnare e ispirare generazioni di 'cercatori' dentro e fuori la Russia. Il corpus del Racconto potrebbe secondo alcuni essere stato scritto o forse narrato a più voci, anche se filtrato infine da una sola mano, quella magistrale di Arsenij Troepol’skij, capace di rendere reale e vivo il sentire e le vite di quei cercatori. Troepol'skij stesso certifica in realtà che solo uno solo di essi - ‘il’ Viandante, ‘lo’ Strennik che egli avrebbe incontrato più volte - gli avrebbe sottoposto un insieme forse un po’ caotico di vicende autobiografiche e di racconti altrui, che sarebbe diventato infine il Racconto, un’opera composita, ‘a scatole cinesi’.

Travolte e sospinte dalla rivoluzione, le pagine delle varie edizioni russe di  quel Racconto, alcune ancora manoscritte, approdarono in occidente con gli émigrées, vennero integrate tra loro, talvolta cercando di ricostruire una precaria e pretesa completezza e si diffusero tra un pubblico interessato, che si rispecchiava nella libertà dell’esperienza mistica  presentata dal Racconto, e dai racconti in esso confluiti ad opera dello Strannik di Arsenij Troepol’skij.

Importanti pagine dell'opera di Bielawski sono dedicate al complesso problema delle fonti del libro, delle sue diverse versioni, alla luce del ritrovamento recente di manoscritti autentici e autografi di Troepol’skij, da cui quest'ultimo risulterebbe inequivocabilmente essere l’autore finale dello Strannik.

Bieslawski ci racconta anche che, rimesso mano al Racconto, la sua prima idea fu di fare un viaggio tra i luoghi del libro, da Orel fino ad Irkutsk, più di cinquemila chilometri, di cui ci fornisce anche utile cartiglio - quando si rende conto e ci avverte che quello spazio, che nel libro non è consequenziale - si parte e ritorna dalle parti di Ariol  un paio di volte – non è lo spazio geografico, ma una diversa immensità, interiore, abbagliante, disorientante. Quello spazio in cui ci si perde, per poi ritrovarsi nella dimensione del cammino, del viaggio personale, un sentore quasi metodologico che attraversa tutto il Racconto dello Strannik. Un’area senza limiti, laddove i progetti concreti di viaggio – Gerusalemme, l’Athos – sono mete pallide, anche se vere, occasione per incontri, soste, ripensamenti, nuove avventure che porteranno infine lo Strannik verso una ultima meta, anch’essa fittizia e irraggiunta: le isole Solovki, la Tebaide del Nord, sede monastica rinomata quanto, nella narrazione del Racconto, anch’essa mitologica. Lo spazio, quello narrato nei Racconti,  si rivela presto semplice ‘nostalgia di infinito’, come fa notare Bielawski. Uno spazio interiore, luogo del cuore, che – nota ancora, acutamente Bielawski – è direttamente proporzionale a quello esterno: lo ‘spazio in me’ coincide costruttivamente con quello ‘nell' io nello spazio’, una speciale topografia dove i due spazi – interiore e esteriore – si riecheggiano in maniera consonante.

Un meccanismo, anche narrativo, che il formalista Sklowskij – grande ammiratore del Racconto dello Strannik - dimostra di padroneggiare così bene da costruire su questo ‘straniamento’, come lo chiamò lui, il suo capolavoro assoluto: ‘Viaggio sentimentale’. Un certo tipo di procedimento formale che non fu certo ignoto al grande Leskov.

Tornando alla ‘immensità interiore’ dello Strannik, va detto che Bielawski la indica alla nostra attenzione come il luogo che nel racconto appare quello privilegiato e diretto dell'incontro dell’essere umano con Dio, la cui presenza non è che evocata dall'immensità esteriore, ma che vive e si ritrova, ‘dentro’ l’immensità dell’essere umano.

E questo ritrovamento è lo scopo primo e vero dello Strannik, la fonte della felicità, la meta vera di tutto.

La Storia, l’ottocento russo così pieno di grandi accadimenti, nel Racconto non esiste quasi mai; non c’è traccia di qualcosa che arrivi dalla realtà di quel contesto, se non in termini di timbri e documenti, di incontri casuali con soldati, di passaggi in nave da prendere o perdere. Lo stesso tempo della narrazione è sovvertito in un ciclo cronologico asimmetrico, dove hanno posto i sentimenti, gli obiettivi raggiunti o da raggiungere, le varie sventure che accadono, ma sempre senza un riferimento particolare alla storia o alla società circostante. Lo Strannik avanza nella densità del paesaggio intorno lui, strade, città, porti, incontri, pioggia, neve, stagioni, briganti, notti fredde e polvere delle strade d’Ucraina, come in un continuum onirico, dove i giorni sono differenti e così gli avvenimenti hanno durate, ma laddove il tempo storico e il suo tipico agire rimangono in disparte.

La sua ricerca ha come assorbito ogni altra grandezza, ogni  altra necessità ed evidenza al di fuori dell’incessanza. Lo Strannik ‘...si lancia alla ricerca di uno stato in cui niente cessa, niente cambia, tutto permane, e che fiuta e percepisce proprio nel binomio 'preghiera incessante' . Se non avesse conosciuto l'esperienza della cessazione, non si sarebbe lanciato verso l'incessanza…’ come bene osserva Bielawski.

La porta dell’incessanza, per lo Strannik è la preghiera e si trova nel cuore e permette la realizzazione della propria vita come esempio della fine della dipendenza dalla storicità, dal naturalismo, dal contesto comunque inteso e la nascita del rapporto incessante, interiore con la preghiera e Dio, fino a stabilizzarlo in un flusso continuo e completamente rivitalizzante, costantemente ispirante. La preghiera esicastica Κύριε Ἰησοῦ Χριστέ, Υἱὲ Θεοῦ, ἐλέησόν με τὸν ἀμαρτωλόν 'Signore Gesù Cristo, figlio di Dio, abbi pietà di me peccatore (Kyrie Iesù Christè yiè theù eleisònme ton amartolòn), cioè, in slavone antico: Господи Иисусе Христе,Сыне Божий, помилуй мя Gospodi Iisuse Khriste, Syne Bozhiy, pomiluy mya, la preghiera monologa, la preghiera del cuore, è il mezzo che lo Strannik usa per accedere alla presenza di Dio nel proprio cuore.

Del resto, il vero titolo del libro, in russo suona come: Il Cercatore della Preghiera Incessante; ‘Racconti di un Pellegrino russo’ è il titolo italiano, dove Pellegrino non riesce a rendere bene l'idea di camminatore incessante e senza meta che il termine Strannik ha in russo...

La narrazione asimmetrica, la atemporalità dei fatti narrati, la rarefazione del tempo e dello spazio esperita nel Racconto si arguisce siano proprio l’effetto della conquista da parte dello Strannik, attraverso l’incessanza della preghiera, di uno sguardo differente. Un punto di vista essenziale, illuminato da una luce abbagliante, caratteristico di chi è riuscito ad uscire dal tempo scandito dalla cessazione delle cose.

Lo Strannik  ha avuto una esperienza traumatica del ‘tempo della cessazione’: ha perso infatti tutto in gioventù, affetti, amori, beni, patria, e in malo modo. Da questo trauma nasce il suo diventare Strannik, cioé viandante, uomo di strada, ‘pàroikos kai parepìdemos’, come cita Bielawski, cioé un ‘vicino residente all’estero’, un profugo del mondo che vive camminando soltanto, non importa come vestito, non importa come nutrito.

A prima vista questa scelta potrebbe sembrare una variante della tradizione bizantina e russa dei ‘folli in Dio’, dei jurodivye, ma lo Strannik non è pazzo, in lui gli altri trovano gentilezza, cultura e buone maniere; alle volte di giorno egli legge la Filocalia, di notte cammina.

La Filocalia è molto presente, ramificata nelle diverse parti del Racconto, e anzi sembra descriverlo e ispirarlo, collocandolo lontano dalle aspre vicende dei ‘folli in Dio’.

E se la Filocalia è l’ispiratrice di un contenuto intellegibile, di un messaggio complesso oltre l’esperienza stessa della preghiera incessante, il destinatario di quel contenuto sono gli Altri, il prossimo che lo Strannik incontra nei suoi giri tortuosi.

Nel suo cammino egli incontra molte ‘anime vive’ – come suggerisce Bielawski -, uomini giusti o anche ‘sbagliati’: funzionari, nobili, preti, insegnanti, soldati, starec, Vecchi Credenti, donne, altri Stranniki, ebrei... ad ognuna di queste categorie Bielawski ha intitolato un capitolo della sua opera, analizzando bene, di volta in volta, il significato dell’incontro, e ogni volta sottolineandone la sincerità, la necessità, talvolta crudele o tragica, ma sempre necessaria al cuore, all’alimentazione della preghiera incessante, fine alla realizzazione dello scopo di essa e al raggiungimento dell’attenzione profonda  - la prosochì della Filocalia - altra meta spirituale dell’esperienza dello Strannik.

La scommessa di Bielawski è certo formalmente benissimo riuscita, nella completezza con cui sa presentare il Racconto e le molteplici questioni che lo accompagnano, ma tocca spesso l’animo di chi legge con fulminee sintesi, interessanti toni poetici, solide ed ampie visioni, restituendoci in maniera personale e ispirata il fascino di quel libro straordinario.

Il quesito, tra le righe del testo di Bielawski, è certo tutto per il lettore: vorresti anche tu cercare l’Altissimo ogni giorno, ogni ora, nel tuo cuore come uno Strannik? Vorresti tu partire per il viaggio che porta alla felicità vera, solo affidandoti alla fede?

Per aiutare nella risposta, Bielawski si congeda dai suoi lettori con una sorta di postfazione fatta di 25 epigrammi sul viaggio e la ricerca interiore, da Goethe a Pitagora, da Gandhi a Panikkar passando per lo Zen, Eraclito e altri, intitolata correttamente: Pellegrinaggio

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