testatina

distanziat

Un mondo senza religioni sarebbe un mondo migliore?

sanculottoSi fa strada in modo neanche troppo sotterraneo l’idea che un mondo senza religioni, basato su un’etica esclusivamente laica, sarebbe certamente un mondo migliore. I credenti, secondo non meglio specificate statistiche, sarebbero ovunque in diminuzione, in modo non ancora significativo ma crescente e inarrestabile, il che farebbe ben sperare in un futuro di pace e progresso senza le religioni, portatrici per loro natura di violenza e di visioni superate che ostacolano il cammino della civiltà. Nell’età della globalizzazione, ci si aspetta, e qualcuno lo spera, un naturale progressivo dissolversi delle religioni a livello universale.

Non ci si riferisce al senso religioso in generale: sarebbe un po’ troppo! Difficile negare che l’uomo emerga storicamente come tale proprio nel momento in cui si riconosce proiettato verso un oltre.

Ciò che ci si augura è una religiosità esclusivamente privata, come sembrerebbero accettare, cosa che suona un po’ strana, persino gli Imam francesi, a giudicare da quanto scrivono in una lettera indirizzata ai musulmani francesi all’indomani degli attentati del 13 novembre: “Noi siamo dei francesi musulmani prima di essere dei musulmani francesi perché è la Francia che ci mette insieme. Di conseguenza la religione deve restare nel suo spazio privato perché la religione deve essere un fattore di pace e di fraternità……”

O magari una forma generica di religiosità, per cui ognuno può credere in ciò che gli pare oppure non credere. Una specie di utopia costruita semplicemente sulla ragione umana, che verrebbe così divinizzata. Un bel paradosso, e neanche tanto nuovo. È già successo in passato, con risultati disastrosi, autentici inferni. Intanto ne nasce una contraddizione insanabile: se ognuno può credere ciò che vuole, si dovrà anche ammettere la fede in una rivelazione, sennò diventa un’imposizione, cioè una violenza. Come se ne esce? In nome di una presunta libertà si finisce per escludere… la libertà. Già conosciuta, questa cosa, e non ha funzionato, anzi ha addirittura ottenuto il risultato opposto. Basta pensare all’esperienza radicale, nel senso che ha cercato di estirpare la fede alla radice, dell’Unione Sovietica, con il risultato di vederla risorgere ancor più luminosa, nonostante, o meglio grazie, al sangue di tanti martiri.

Questione cruciale è poi quella del rapporto con la Verità. La convinzione di essere nella Verità è pericolosa e causa di conflitti. Ma anche qui: può esistere una fede senza presunzione di verità? Sarebbe un nonsenso. Va da sé che la Verità è Verità, punto e basta. È un faro che deve guidare ogni genuina ricerca umana, che in quanto tale opera nei limiti del finito e può percorrere strade diverse, tutte autentiche quando non pretendono di costruire o addirittura inventare una propria verità. Lasciamo la risposta alle parole di Luigi Pareyson: la verità è unica e intemporale all’interno delle molteplici interpretazioni che se ne danno; ma una tale unicità che non si lascia compromettere dalla moltiplicazione delle prospettive non può essere che un’infinità che tutte le stimola e le alimenta senza lasciarsi esaurire da alcuna di esse…  la verità più come sorgente e origine che come oggetto di scoperta.[1]

Ovvio allora che nessuno debba pretendere di imporre un’interpretazione come l’unica vera.  Intanto perché ogni imposizione  è per sua natura violenta, e in quanto tale da condannare, ma anche perché impossibile. La fede è una persuasione interiore su cui nessuna volontà esterna può incidere, o addirittura nessuna volontà, nemmeno la propria.  Lo diceva bene già nel Seicento Locke nella sua Epistola de Tolerantia: nessuno può, anche volendo, credere in base ad una prescrizione altrui.  

D’altronde ci chiediamo: può esistere una fede se non come certezza superiore a qualunque ragionamento? In un Dio che si rivela, in un incontro che è esperienza o, perché no, nell’ateismo sincero di chi crede che Dio non esista ma non pretende di dimostrarlo? Impossibile. Ma, immaginandolo possibile, sarebbe auspicabile? Ne deriverebbe un mondo piatto, senza radici, che annulla il senso di appartenenza ad una tradizione e rinuncia alla bellezza delle differenze. Chi potrebbe volerlo? Sarebbe anche un mondo incapace di dialogare: fin troppo banale dirlo, un dialogo autentico può avvenire solo tra soggetti con un’identità forte. L’alternativa è un’acquetta incolore e insapore in cui tutto si confonde.

Un mondo senza fede è quindi impensabile e meno che mai desiderabile, ma altrettanto inaccettabile sarebbe una fede disgiunta dalla ragione. Il sentimento religioso e la capacità di ragionare sono costitutivi dell’uomo, nel senso che senza non sarebbe uomo. I problemi nascono quando fede e ragione si vivono come assoluti e tra loro separati. Il Cristianesimo è fin dalle origini unione di fede e ragione  (In principio era il Logos Gv 1,1). La Chiesa ha sempre affermato con risolutezza l’importanza del rapporto fede e ragione. Vale la pena rileggere, e in questo drammatico periodo più che mai, il discorso di Benedetto XVI all’Università di Ratisbona. E ascoltiamo anche papa Francesco, che ribadisce: «lo Spirito Santo ci dà questo regalo, un dono: l’intelligenza per capire e non perché altri mi dicano cosa succede». Intelligenza come luce, che tuttavia nessuno è in grado di darsi da sé.

Se la fede da sola ha in sé il germe dell’integralismo, anche la ragione che si sente autosufficiente corre grossi rischi: quello di cadere in un pericoloso soggettivismo individualistico, nemico di ogni possibile convivenza sociale, o all’opposto, nella sua dimensione collettiva, pretendere di costruire paradisi umani impossibili a realizzarsi senza annullare la libertà. Ancora Pareyson: “le costruzioni della ragione privata della verità prendono la mano all’uomo, e s’ingrandiscono sino a impadronirsene, e a esercitare su di lui un potere immane e terribile, in cui egli è ridotto alla più mostruosa delle schiavitù”.[2]

Conoscerete la Verità e la Verità vi farà liberi  (Gv 8,32).



[1] Luigi Pareyson Verità e Interpretazione Milano 1971

[2] Pareyson, op. cit.

Tags: 3, 5, 6, 7, 9, 19, 30, 31, 42, 88, 102, 109, 117, 118, 122, 127

Stampa