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L’Islam e l’Occidente al bivio

ercole al bivioLe torbide vicende in corso in Medio Oriente mostrano con chiarezza come la lotta contro il cosiddetto Stato Islamico sia tutt’altro che ovvia, essendo quest’ultimo espressione di un groviglio inconfessabile di interessi e strategie che è parte dell’occulta guerra mondiale in corso, combattuta sul piano non solo militare ma anche e più che mai su quello comunicativo e culturale.

Sotto questo aspetto è chiaro che gli attentati di Parigi interpellano a fondo la coscienza dell’Europa, tra l’altro ormai ampiamente multietnica e multireligiosa.

In prossimità della redazione di Charlie Hebdo, la regia che ha guidato l’eccidio ha inteso mettere in scena l’immagine di una civiltà edonista e corrotta, sorpresa mortalmente nei suoi luoghi di colpevole frivolezza, nell’atto di essere purificata nel sangue. Si è voluto insomma scrivere, nei corpi di vittime indifese e ignare, un messaggio che è una nuova terribile dichiarazione di guerra contro tutta la moderna civiltà occidentale.

Sarebbe un grave errore non coglierne il senso. Quel che avviene cioè non ha tanto un valore in se stesso, quanto nella sua capacità di definire il quadro degli eventi in corso e conseguentemente di indirizzarlo.

 

Vediamo le cose con attenzione.

La grande maggioranza dei Musulmani ha buone ragioni per dire che quel che avviene non è a suo nome; come per lo più nel mondo occidentale si fa attenzione a non attribuire all’Islam in quanto tale dirette  responsabilità. Da una parte e dall’altra, negando che la guerra in corso sia di religione, si cerca infatti di impedire che la definizione data da Daesh risulti confermata, nel timore di spostamenti catastrofici negli equilibri interni al mondo musulmano, e anche in quelli occidentali. Ciò però significa che gli attentati sono destinati a diventare sempre più feroci, per superare la soglia oltre la quale la definizione finora prevalente verrebbe a cadere. Le conseguenze a quel punto sarebbero imprevedibili, anche per il fatto che si mantiene in gran parte occulto il quadro dei reali soggetti in gioco.

Il punto è insomma che l’esito degli eventi non è affatto scontato, perché in gioco è la definizione dell’identità del mondo islamico, ma anche, parallelamente, di quello occidentale.

È ben vero cioè, che Daesh, e in genere il radicalismo nel cui seno esso è sorto, è ben lungi dal poter rappresentare la maggioranza dei Musulmani. C’è però un’affermazione che, per quanto venga enfaticamente ripetuta per chiarire la posizione di chi sta parlando, non potrebbe in nessun modo essere sostenuta fino in fondo: che si tratti di un fenomeno estraneo all’Islam. Piaccia o meno, non si può dubitare di ciò che è sotto gli occhi di tutti: che all’interno del mondo islamico si sta combattendo uno scontro di grande portata, dove una minoranza radicale sta usando ogni mezzo per ribaltare gli equilibri.

Sicuramente quella minoranza sta interpretando la religione sul modello di ciò che nel moderno Occidente sono state le ideologie totalitarie, e altrettanto sicuramente sta godendo di appoggi di ogni tipo da parte di ben note potenze regionali, che se ne servono allo scopo di ridisegnare a proprio favore la mappa del Medio Oriente alimentando la storica contrapposizione tra Sunniti e Sciiti, e ciò a sua volta nel quadro di una più ampia politica internazionale in cui si mira a escludere la presenza russa nell’area; ma, ammesso tutto ciò, non si può certo pensare che i jihadisti non rappresentino una delle modalità possibili attraverso cui l’Islam si confronta con la Modernità. La sua sconfitta dipenderà dalla capacità di quanti vi si oppongono di elaborarne una che sia più forte, perché più autentica sul piano spirituale e d’altra parte idonea a interpretare la vita sociale dei Musulmani.

Ogni cultura religiosa è un fenomeno complesso e ha anche i suoi lati oscuri, i quali in realtà non appartengono in genere alla religione, ma al mondo in cui essa prende forma. È nel mondo che è presente il male; e, nel momento in cui una religione vi appare, configurandosi secondo modalità con esso compatibili, da un lato definisce una strategia finalizzata a che il male sia vinto, dall’altro non può evitare di esserne messa alla prova e contaminata, finendo per scoprirlo anche al suo interno.

Dobbiamo al riguardo ricordare quanto centrale sia nell’Islam l’idea di una lotta che i fedeli hanno da compiere di continuo in se stessi e nella comunità. E aver fiducia che, nonostante il jihadismo se ne sia appropriato pervertendola, i Musulmani ne sapranno riportare alla luce il valore autentico.

 

Perché ciò accada bisogna però che da parte occidentale si ammetta che un altro scontro è parallelamente in atto in Occidente. Anche qui vi sono implicazioni varie negli assetti politici ed economici, ma si tratta innanzitutto di uno scontro culturale.  

Da noi le cose hanno preso forma più di due secoli fa, quando una minoranza che si contrapponeva alla tradizione religiosa a cui la civiltà occidentale è legata ha preso saldamente il potere, avviando una profonda trasformazione della società che è passata, soprattutto nel Novecento, attraverso eventi altamente traumatici. Oggi quel processo può dirsi compiuto, perché la visione di quella minoranza è diventata largamente maggioritaria, mentre l’originaria tradizione religiosa sembra talora sopravvivere a stento.

Il problema è però che gli indirizzi di pensiero dominanti non hanno affatto mantenuto quel che promettevano, cioè che la liberazione dalla religione avrebbe portato a una più completa realizzazione umana. Il tentativo più conseguente di abolire il senso della trascendenza, cioè il Comunismo, è miseramente fallito, mostrando che la soppressione di Dio può portare solo a nuove schiavitù. E il mondo occidentale attuale, mentre vanta il massimo sviluppo delle libertà individuali, le riduce per lo più ad alimento del sistema consumistico, fino a proporre oggi scenari di inaudito degrado antropologico. Più in generale, poiché gli indirizzi dominanti in Occidente sono diventati dominanti a livello mondiale, gli uomini di tutti i continenti vengono chiamati a sottostare a un sistema dove la tecnica e l’economia di profitto hanno il sopravvento su ogni altra istanza. Ciò provoca reazioni assai diffuse, per la semplice ragione che l’essere umano non è fatto per questo, e che gli strati più profondi della sua coscienza non accettano di esservi ridotti.

Non a caso gli ultimi decenni, mentre i modelli sociali e culturali occidentali si sono diffusi nel mondo intero, provocando imponenti processi di sradicamento, sono caratterizzati da un grande ritorno della religione. Ne fanno parte i fondamentalismi, ma non ci si può limitare a essi; i quali anzi, tanto si contrappongono alla modernizzazione promossa dall’Occidente, quanto ne assumono i tratti più determinanti: in particolare l’esaltazione del potere politico, militare e tecnologico. Di fatto essi davvero svolgono funzioni che in Occidente, ma anche in altre aree del mondo tra cui la Cina, sono state svolte dalla ideologie totalitarie. Si potrebbe addirittura pensare che tra il radicalismo islamico e gli indirizzi dominanti della moderna cultura occidentale, a cui si contrappone, ci sia una complicità di fatto; quanto meno perché ciascuno dei due soggetti conferma e rafforza l’altro, pur avendo ingaggiato con esso una lotta mortale.

Sotto questo aspetto non è casuale sul piano simbolico che venga ripetutamente colpita Parigi, storica capitale dell’Illuminismo e della Rivoluzione; ma proprio per questo è grave aver fatto di Charlie Hebdo l’insegna della cultura e dei valori occidentali, come lo è la rinnovata spinta all’espulsione dallo spazio pubblico dei simboli cristiani, maldestramente motivata dal rispetto del pluralismo.

Si fissano infatti in questo modo i termini di una contrapposizione insanabile: se l’Occidente si riduce al rifiuto della religione, per molti nel mondo è giustificato chi con ogni mezzo ne assume la difesa; e, se la religione si lega alla violenza, è giustificato chi in Occidente torna senza mezzi termini a rivendicarne la soppressione. È un circolo vizioso, che alimenta una spirale distruttiva.

 

La via d’uscita richiede un reciproco, autentico ascolto.

L’Islam, per assumere il ruolo culturale che la sua diffusione nel mondo richiede, tanto più in Occidente, non può permettersi di non fare i conti con la natura complessa dell’Occidente stesso, che non si riduce ai frutti dell’Illuminismo. C’è soprattutto  un confronto con il Cristianesimo, che è per lo più ben lungi dall’aver affrontato, senza il quale non potrà davvero vincere il pericolo del fondamentalismo. Le persecuzioni contro i Cristiani non sono effetti collaterali di altri scontri, bensì rispondono a una logica di cui occorre cogliere il nucleo profondo. Altro problema ancora è il rapporto col mondo ebraico, non riducibile alla questione dello Stato di Israele, e più in generale con la condizione del pluralismo religioso.

Bisogna insomma che i Musulmani siano fraternamente invitati a prendere atto dei problemi anziché autorizzati a rimuoverli, come talora si fa assumendone acriticamente la difesa; ma al tempo stesso si eviti loro di chiedere, come invece è stato fatto in Francia, di relegare la loro fede nell’ambito privato, subordinandola alla religione suprema della Laïcité. Un’Islam omologato tradirebbe infatti se stesso, esponendo i propri fedeli alla fascinazione del radicalismo.

Bisogna invece riconoscere apertamente che l’Occidente, e l’Europa soprattutto, non avrebbe che da trarre beneficio dalla critica islamica. Dal momento che effettivamente si tratta di un mondo che ha in gran parte perso il valore spirituale della vita, quella critica potrebbe davvero contribuire a un suo recupero, indipendentemente dalla forme che assumerà.

Più in generale, quello che oggi si dovrebbe cercare è l’alleanza delle religioni mondiali nella resistenza a ciò che Papa Francesco considera il paradigma tecnocratico dominante, che sta sotto vari aspetti mettendo in pericolo la vita sulla terra. Non solo le questioni direttamente legate all’ambiente, per le quali proprio a Parigi si gioca in questi giorni una partita decisiva, ma anche quelle della famiglia e dell’educazione costituiscono un terreno su cui l’intesa può essere spontanea. Così come i compiti dell’accoglienza e della solidarietà sociale richiedono la collaborazione attiva delle diverse comunità.

 

La forza insidiosa del fondamentalismo consiste nel riproporre, in un mondo stanco come quello occidentale odierno, che ha smarrito o addirittura rifiutato il senso delle grandi narrazioni, lo scenario primordiale e ineludibile della lotta tra il bene e il male.

Non basta denunciare quanto la versione proposta sia mostruosamente falsa; occorre saperne indicare una autentica, cioè aderente alle condizioni effettive in cui gli uomini e le donne odierni affrontano quotidianamente la loro vita e il loro compito spirituale.

Quella comune resistenza di cui si diceva può fondare uno spazio sociale condiviso, cioè una comunità più ampia di cui tutti ci si senta parte. La quale non richiede affatto la soppressione delle differenze; anzi può renderle feconde di nuova vita, consapevolezza e senso di identità.

 

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