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IL TEMPO IN CUI VIVIAMO

illich 4Mi trovo, come storico, di fronte a una realtà storica, un’epoca che, quanto più la guardo, tanto più mi appare confusa, incomprensibile e incredibile. Non ha nulla a che spartire con nessun’altra epoca storica, e mi pone di fronte a un’organizzazione basata su assiomi per i quali non trovo alcun parallelo in altre società del passato. E offre la testimonianza, almeno a me, di un confuso genere di – vorrei evitare la parola «male», ma come posso chiamarlo? – disumanità, negazione, degrado, che non hanno paralleli in altre epoche storiche. Per essere molto superficiali, si pensi alla polarizzazione dei redditi negli ultimi vent’anni, non solo negli Stati Uniti, ma in generale e in modo più marcato nel mondo intero. Recentemente ho visto un rapporto affidabile secondo il quale 350 persone guadagnano, da sole, quanto guadagna il 65% degli appartenenti ai ceti più deboli. Ora, non è questo che soprattutto mi preoccupa. Sono molto più preoccupato del fatto che il 65% degli appartenenti ai ceti più deboli, che guadagnano, tutti insieme, meno di quanto guadagnano le 350 persone più ricche del mondo, trent’anni fa sarebbero stati capaci di vivere senza far ricorso al denaro. Molte cose, allora, non erano ancora monetizzate. L’economia di sussistenza funzionava ancora. Oggi, invece, non possono più spostarsi senza pagare il biglietto dell’autobus. Non possono accendere il fuoco in cucina raccogliendo la legna, ma debbono comprare elettricità. Come spiegare questo male straordinario che non si è visto in altre società, ma solo là dove è stata importata la società occidentale? È qui, a mio parere, che il mysterium iniquitatis mi fornisce una chiave per comprendere il male di fronte al quale oggi sono, e per il quale non so trovare una parola. Come uomo di fede, dovrei chiamarlo il misterioso tradimento o la perversione di quel tipo di libertà che i Vangeli hanno portato. Ora, quello che ti ho balbettato qui, impreparato, come sai, parlando liberamente, ho evitato di dirlo per trent’anni. Ti assumerai la responsabilità di farmi dire questo, in questo momento estremo, in un modo in cui gli altri possano sentire. Quanto più ti permetti di concepire il male che hai sotto gli occhi come un male di nuovo genere, di un genere misterioso, tanto più forte diventa la tentazione – non posso fare a meno di dirlo – di maledire l’incarnazione di Dio.

(…)

Io non credo che questo sia un mondo postcristiano. Sarebbe consolatorio. Credo che sia un mondo – è così difficile da pronunciare – apocalittico. Proprio all’inizio delle nostre conversazioni abbiamo parlato del mysterium iniquitatis, il mistero del male, un male altrimenti impensabile inimmaginabile e inesistente, che nidifica e depone il suo uovo all’interno della comunità cristiana. Usammo allora quella parola, Anti-Cristo, l’Anticristo che assomiglia in così tante cose a Cristo, e che insegna concezioni globali, responsabilità universale, umile accettazione di quel che viene insegnato anziché personale ricerca della verità, guida attraverso istituzioni. L’Anticristo, o diciamo il mysterium iniquitatis, è il conglomerato di una serie di perversioni con le quali cerchiamo di dare alle nuove possibilità che sono state aperte attraverso il Vangelo, istituzionalizzandole, sicurezza, capacità di sopravvivenza, indipendenza dalle persone singole. Io sostengo che il mysterium iniquitatis ha covato a lungo – so troppo della storia della Chiesa per dire che proprio adesso stia rompendo il suo guscio -, ma oso dire che oggi esso è presente più chiaramente di quanto lo sia mai stato prima. (…) Io credo che la nostra sia, per paradosso, l’epoca più esplicitamente cristiana, che potrebbe essere molto vicina alla fine del mondo.

 

Ivan Illich, ‘The Corruption of Cristianity’, ed. it. ‘Pervertimento del cristianesimo’, Quodlibet, Macerata 2008, pp. 29-30, 116-117

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