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L’impero della Cina

L impero della Cina Cresce la domanda sulla Cina, quasi una nuova e inedita emergenza. Tale è in realtà. Anche se, almeno in prima apparenza, si presenta assai diversa e assai meno dirompente rispetto ad altre emergenze che incombono sul nostro vivere quotidiano in questo avvio imprevisto del terzo millennio. E ciò vale anche per la sfera specificamente religiosa e per il cattolicesimo in particolare.
L’emergenza Cina non sembra in effetti assimilabile al fenomeno imponente, epocale, delle migrazioni che premono sull’Europa da continenti interi, quali l’Africa in esplosione demografica e volatilità politica, o il Medio Oriente in stato di guerra civile-religiosa senza esito certo nel tempo e nello spazio.
La Cina ostenta stabilità politica e sviluppo illimitato. Vive di radicata identità su se stessa, in un suo mondo che specie nell’ultimo periodo associa due caratteristiche a prima vista incompatibili: massimo sfruttamento del mercato libero e massima concentrazione del potere politico. Una meta ideale, tempo fa, per le riforme di Chruscev in Unione Sovietica e là clamorosamente fallite. Una scommessa esplicita nel programma di Xi Jinping, per giustificare il suo enorme potere - superiore a quello, un tempo, dello stesso leader máximo Mao Zedong –, per rilanciare e contenere le spinte centrifughe del libero mercato e l’indirizzo politico massimamente centralizzato sul Partito, sull’esercito, sulla sicurezza, sulla cultura, saldamente nelle sue mani. Una Cina in cui cresce da un lato la coscienza delle propria autonomia storica e culturale, fino al mito dell’autosufficienza, e dall’altro la prospettiva se non l’ambizione di una prossima sovranità mondiale a portata.
Intanto la Cina emigra e preme. E questa è una inedita emergenza, per la potenza con cui si espande compenetrando il mondo intero sulla base di una imponente e tempestiva offerta di infrastrutture, tecnologie, a disponibilità sconfinata di finanze. La nuova dirigenza sta sviluppando un superattivismo commerciale e diplomatico su scala mondiale senza precedenti. Può contare su masse enormi di giovani generazioni attive e competenti, ambiziose di emergere in ogni campo. Non solo di ciò si tratta, ma anche di affermazione culturale e ideale della propria identità, accompagnata sovente da un crescente e ribadito senso, se così si può dire, di volontà di conquista del mondo esterno. Non stupisce che il partito al potere ami sempre più richiamarsi pubblicamente alla storica tradizione imperiale e persino a dichiararsene erede e garante. C’è molta retorica in tutto questo e persino nazionalismo. Ma c’è pure sostanza di risultati effettivamente raggiunti.
Certo, nulla di più contrastante rispetto ai toni dimessi quali si avvertono in altre parti del mondo dove l’orizzonte appare dominato da uno spirito affranto dal contenimento delle proprie crisi interne, se non addirittura dalla consapevolezza di una ineluttabile decadenza.
La ‘emergenza imperiale’ della Cina sul mondo solleva molte domande. Dentro e fuori. Sono domande che ancora nel recente passato era invece la Cina (e non solo, ovviamente) a porsi di fronte alla sovranità imperiale dell’Occidente. E la domanda era: sarà possibile restare cinesi aprendosi all’Occidente? Ora sono le culture del mondo esterno alla Cina che si chiedono: che ne sarà di noi di fronte alla potenziale sovranità mondiale della Cina?
Proprio la questione religiosa offre qualche evidenza, un quadro di riferimento particolare per avviare qualche risposta a questi interrogativi nel tempo dato.
A cominciare appunto dal rapporto con il cattolicesimo in quanto religione non locale fin dalle origini, e quindi in qualche modo sempre possibilmente avvertita come ‘mondo esterno’. Per questa sua peculiare caratteristica può lasciar intravedere come la Cina intenda rapportarsi con l’altro da sé proprio oggi, dalla sua posizione di forza quale precisamente si vuole in ‘proiezione imperiale’.
Di sicuro i cattolici cinesi non accettano di essere considerati ‘stranieri’. Già nel seicento cercavano di far valere l’importanza della loro presenza in Cina fin dal settimo secolo (stele di Xi’an). Analogamente in seguito ai tempi di Marco Polo e soprattutto al seguito della rilevante presenza dei gesuiti e di altre congregazioni missionarie nel 1600. I gesuiti di quel periodo sono oggi ufficialmente riveriti e citati, ma, alla fine, rimase e rimane aperta la questione che attualmente ritorna in modo particolarmente acuto ed esplicito: è possibile essere cinesi e cristiani?
A questo interrogativo da sempre c’è una risposta precisa dei cristiani. Essa parte dal principio che esiste una sfera della coscienza la quale si rapporta direttamente ed esclusivamente a Dio, e un’altra che con lealtà si riferisce senza soluzione di continuità alla società e ai suoi ordinamenti, accettandoli e condividendone la responsabilità, in cui il potere politico occupa certo un posto fondamentale. Ma quest’ultimo benché impegni la coscienza nei suoi confronti, non comanda alla coscienza, semplicemente perché è fuori comando di chiunque, persino di chi ne ha, appunto, la coscienza. Questo limite invalicabile il potere politico può non gradirlo. Potrà allora ritenere che il credente sia estraneo a lui e renderselo straniero.
Questa è la posta in gioco, che ritorna a farsi sentire precisamente nelle attuali circostanze, con l’accusa che il regime in Cina tiene sempre in serbo nei confronti dei cristiani. In particolare dei cattolici che hanno per di più un riferimento autorevole ‘esterno’, ben visibile, quale è il Papa.
Nelle trattative riservate in corso tra Cina e Vaticano (al momento, in stallo) molto pare concentrarsi sul punto a chi spetti alla fine designare i vescovi e a chi semplicemente indicarli come possibili candidati.
Una riedizione contemporanea della lotta per le investiture di medioevale memoria?
Molte sono le analogie. Esiste tuttavia una differenza sostanziale rispetto a quel periodo. Nel Medioevo e poi anche nelle epoche successive fino alla laica modernità per un verso la Chiesa aveva spesso un complesso di poteri e di riconoscimenti sociali che non rendevano così netto il distinguo nella società tra la sua sfera di autorità spirituale e quella del potere politico. Il potere politico per altro verso a sua volta era investito di una sacralità tale da renderlo partecipe della sfera spirituale.
Oggi, invece, è precisamente la condizione di non-potere politico, così accentuato nelle condizioni della modernità in Occidente e dal fatto di essere minoranza in Oriente, che rende il cattolicesimo un riferimento più netto ai principi della coscienza, e così ne accentua la sua distinzione e potenziale ‘estraneità’ rispetto ad ogni pretesa politica.
All’opposto, paradossalmente, proprio il carattere ideologico del partito esige dai suoi aderenti di essere atei, evidenziando in tal modo una prevaricazione abusiva della politica dentro la sfera della coscienza.
Di fronte a questo aut aut, ben al di là dei contatti tra Vaticano e Cina, da sempre i credenti sono posti di fronte al dilemma se sia lecito o meno per un cristiano aderire a tale pretesa o sottrarsi in reale o potenziale obiezione di coscienza.
È anche su questo terreno e su altri analoghi versanti delle civiltà del mondo che il nuovo e potente emergere della Cina dovrà misurare la sua ‘sovranità imperiale’.

 

Testo pubblicato su La Voce e il Tempo del 23.07.2017.

 

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