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Un’idea forte e buona

EndlessknotPartiamo dal presupposto che l’idea di comunità è alla base di qualsiasi riflessione politica. L’idea stessa di democrazia non può che avere nella comunità il suo riferimento ideale, in quanto implica la partecipazione di tutti a una realtà comune. Il comunismo è un comunitarismo estremo, il cui problema è di esaltare idealmente il valore della comunità ma di distruggerla nei fatti, inglobandola totalmente nella sfera politica. Il concetto di comunità infatti si riferisce alla dimensione prepolitica della vita sociale, a cominciare dai rapporti familiari. Ma d’altra parte l’individualismo estremo e la sregolatezza economica tipiche del consumismo sono altrettanto avverse ai valori comunitari.

Per sanare i conflitti tra ideologie contrapposte è necessario reintrodurre il concetto di buon governo. Assumendo da una parte i valori tipici della tradizione socialista, come la tutela delle fasce deboli della popolazione; e, dall’altra, l’autolimitazione dei poteri dello Stato, propria della tradizione liberale. Lo Stato non deve porsi il compito di risolvere tutti i problemi della società, bensì quello di aiutarla ad affrontarli nel modo migliore. Non è difficile pensare al principio, tipico della tradizione cattolica, di sussidiarietà. In ogni caso riconoscere la società come comunità, ovvero come realtà dotata di una propria autonomia, contribuisce a chiarire le cose.

È il caso di ricordare che quando Adriano Olivetti pensò di dare alla sua esperienza una forma politica, la chiamò Movimento Comunità. Il suo esperimento non ebbe successo ma, nel clima della Guerra Fredda, era inevitabile. Può darsi che oggi i tempi siano più maturi.

 

Il problema dell’idea di comunità è che è un’idea forte. Infatti il rifiuto delle ideologie ha generato una diffidenza verso le idee forti, sospettate di essere causa di sopraffazione. Si tratta dell’equivoco connesso col pensiero debole, che ha alimentato il rigetto dell’idea stessa di verità perché apparentemente connessa con politiche autoritarie. Si è arrivati a pensare che la democrazia fosse compatibile solo con idee deboli, e quindi con il relativismo oggi dominante. Il che contribuisce a un grave indebolimento della politica, sempre meno autonoma rispetto ai grandi poteri economici e, come dice Papa Francesco, al paradigma tecnocratico dominante.

 

Le conseguenze sono:

  1. 1)perdita di autorevolezza del sistema politico;
  2. 2)crescita di idee forti ai suoi margini, come i fondamentalismi religiosi o i partiti xenofobi. Gli uni e gli altri si fanno interpreti di un bisogno di identità a cui la politica ufficiale sembra non essere in grado di

Fenomeni peraltro alimentati dal buonismo, che è una delle grandi ipocrisie del nostro tempo.

Altra cosa è l’essere davvero buoni, perché capaci di accogliere in sé e nel proprio agire il reale bisogno altrui. Il che in politica significa mettere tutte le proprie capacità al servizio del bene comune sentendolo come il proprio personale bene. Fare cioè della compassione il proprio dovere. È questo ciò che intendeva Paolo VI parlando della politica come della “più alta forma di carità”.

 

Per elaborare il concetto di comunità, e sviluppare un senso della politica come dovere e compassione, bisogna e riflettere su alcune questioni.

  1. 1)Il civismo, innanzitutto, implica amore nei confronti dell’umanità intera, ma anche radicamento in una comunità che si sente propria. Esso è un valore profondamente in contrasto con il panorama circostante, dove la fanno da padroni incuria, ricerca del vantaggio particolare, mancanza del senso di responsabilità ad ogni livello sociale. Il civismo comporta che si cominci a pensare un po’ meno ai propri diritti e un po’ di più ai propri doveri.
  2. 2)In secondo luogo mi permetto di suggerire che il valore del civismo è inseparabile dall’educazione. La difficoltà degli individui ad assumersi le proprie responsabilità verso gli altri e l’ambiente è una crisi di cui non si parla. L’avvento del consumismo si è accompagnato a ideologie falsamente emancipative, che hanno contribuito alla creazione di personalità deboli, i cui desideri incontrollati li rendono facile preda delLa crisi dell’educazione è una crisi antropologica, che può pregiudicare il futuro non meno della crisi ambientale.
  3. 3)Strettamente legato al tema educativo è quello del capitale sociale. L’esaltazione delle azioni strumentali orientate all’utile ha senz’altro determinato lo sviluppo economico del mondo moderno. Ma, portato alle estreme conseguenze, lo sta minando. Un’economia presuppone infatti un tessuto di relazioni comunitarie e rapporti di fiducia che consentano le transazioni economiche: si tratta del capitale sociale. Quando un’economia finalizzata al profitto prende il sopravvento su ogni altro valore, il tessuto sociale si disfa fino a non consentire più l’economia stessa. Dal che il paradosso che, per rilanciare l’economia, occorre ricostruire le relazioni pre-economiche: ricostruire il civismo, ricostruire l’educazione. Ricostruire insomma, in forme necessariamente diverse dal passato, il tessuto comunitario. Cosicché l’economia torni ad essere al servizio della società.
  4. 4)In quarto luogo è il caso di pensare che gli enormi cambiamenti in corso, dovuti soprattutto all’elemento tecnologico, per venire elaborati richiedono uno sforzo culturale adeguato. Si parla in genere, per indicare un tale compito, di “pensiero della complessità”. Ovvero di quell’epistemologia sistemica che ha accompagnato la rivoluzione informatica. Si ritiene che si debba passare da modelli di pensiero di tipo meccanicistico e riduzionistico, a modelli di tipo olistico, che tengono cioè conto della globalità degli aspetti. Sotto questo aspetto il concetto di interdipendenza, che dà il nome all’associazione che rappresento, per quanto non sia tratto dall’epistemologia sistemica, bensì dalla filosofia buddhista, è centrale. Può essere il fondamento razionale di un’etica per il nostro tempo, perché insegna a vedere se stessi e gli altri come entità non separate ma sempre in relazione nel contesto.
  5. 5)Bisogna infine tener presente che la crisi che viviamo, che ha logorato le forme di partecipazione alla vita comune del passato, ha il suo sfondo anche nel processo di secolarizzazione: ovvero l’allontanamento progressivo della società dall’originario contesto religioso. La religione è l’esperienza più originaria della vita comune ed è il fondamento stesso della comunità. Le moderne ideologie non sono in fondo che sostitutivi, tant’è vero che si parla di “religione civile” o di “ateismo religioso”. Ciò non vuol dire che sia necessario un soggetto politico con una matrice confessionale, ad esempio un nuovo partito cattolico: il Papa stesso lo ha escluso. Vuol dire invece che i valori condivisi dalle diverse culture religiose devono essere di riferimento per l’azione politica; in particolare il principio del servizio alla comunità. Anche perché, mentre a livello diffuso prosegue l’onda lunga della secolarizzazione, tra le persone più consapevoli il riferimento religioso è tornato a essere importante. E d’altra parte i flussi migratori hanno ripresentato le religioni come principale fondamento dell’identità sociale.

 

La parola “interdipendenza” ha evidentemente forti implicazioni etico-politiche: è la confutazione di una visione individualistica e basata sul conflitto. Esprime, in modo facilmente comprensibile, tutto il senso della visione olistico-sistemica; indica chiaramente il rapporto tra economia ed ecologia. Colpisce  profondamente che il Papa, nella Laudato si’, vi si riferisca continuamente.

Su queste basi si possono dunque affermare i valori di dovere e compassione nella comunità. Essi esprimono con grande chiarezza l’orizzonte a cui dobbiamo guardare per coltivare il civismo, per proporre un modello educativo, per ricostruire il capitale sociale, per rivedere il nostro modo di pensare i rapporti tra gli uomini e con l’ambiente, per tener conto di un senso spirituale della vita senza essere confessionali.

 

 

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